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Storie di terapia intensiva

“Dietro la maschera”: l’esperienza di un infermiere di terapia intensiva diventa romanzo

Il “racconto Covid” di Pasquale Dente, infermiere italiano in Inghilterra, diventa un romanzo

Conosco Pasquale Dente in un chat di infermieri e leggo che ha appena pubblicato un romanzo dal titolo “Dietro la maschera“, un romanzo reale che affonda le radici nella pratica clinica quotidiana della terapia intensiva Covid del John Radcliffe Hospital Oxford University.

Mi incuriosisco, faccio una veloce ricerca e contatto questo “infermiere-scrittore”. Voglio capire cosa questo infermiere ha da raccontare.

Pasquale è di Napoli e viene da Secondigliano: per molti solo un nome legato alla malavita.

Lui invece ha li’ le sue radici e nel breve colloquio virtuale in chat mi racconta quanto gli manca la propria terra e quanto vorrebbe tornarci.

Poi parliamo un pochino del suo libro e gli chiedo di scrivere un articolo per raccontare a postintensiva.it del suo progetto.

La condivisione delle esperienze non deve riguardare solo le persone ricoverate, ma anche noi infermieri. L’introspezione di un collega, anche attraverso un romanzo, puo’ aiutare ognuno di noi ad affrontare la propria quotidianità.

Al termine dell’articolo di Pasquale il link tramite cui acquistare il libro.


Chi sono

Mi chiamo Pasquale Dente, sono Napoletano ma lavoro da 5 anni presso la terapia intensiva cardiotoracica della Oxford University, che durante la pandemia, e anche tuttora lo è, è diventata terapia intensiva covid.

Mi piace molto leggere e mi diletto a scrivere, sono stato agonista e cintura nera secondo Dan di Judo, e anche se non pratico da anni, mi è rimasta l’indole di affrontare i problemi faccia a faccia, cercando di risolverli in maniera adeguata. 

Arriva il Covid

Quando sono entrato per la prima volta nel mio reparto, diventato Covid dopo qualche mio giorno di assenza, mi sono sentito in un mondo nuovo, del tutto diverso da quello super organizzato in maniera anche quasi maniacale in cui lavoro.

Ho subito pensato di scrivere quello che i miei occhi vedevano, solo in un secondo momento ho costruito una storia attorno a fatti realmente accaduti e fatti di cronaca, inventando personaggi che possono essere tranquillamente i nostri colleghi, amici o parenti.

Dietro la maschera

Il libro racconta la storia di Lucia, un’infermiera napoletana che lavora a Bergamo in un reparto di Terapia Intensiva.

La ragazza, giovane e bella si trova a combattere contro tutto in piena solitudine, lontano dai propri affetti, dagli amori e dalla famiglia.

Il romanzo è incentrato molto sulla figura della protagonista.

Da qui il titolo “Dietro la Maschera” . Cosa c’è dietro la maschera? Cosa si nasconde? Eroi? Paladini del bene? Oppure professionisti della salute che hanno studiato per fare ciò?

Persone con paure e delusioni, individui che hanno famiglie alle loro spalle che sono anche esse in ansia per tutto ciò.

La pagina Istragram @Dietrolamascheralibro

Prima della pubblicazione del libro stesso, ho aperto una pagina istagram @Dietrolamascheralibro su cui pubblico foto di colleghi con la maschera e senza, creando il contrasto tra quello che è il professionista, e quello che è la persona, aggiungendo anche una breve descrizione, sugli hobby e sulla famiglia, se sono mamme o papà, il tutto l’ho chiamato progetto “Dietro la maschera” .

Dove acquistare il libro

Il libro è acquistabile in versione cartacea, ebook ed è gratuito per i possessori si Kindle Unlimited.

Ecco il link di amazon per l’acquisto del libro e di istagram.https://www.amazon.it/Dietro-maschera-Pasquale-Dente/dp/B08PG65HMC/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=2HLOQM6OQLM6T&dchild=1&keywords=dietro+la+maschera&qid=1609204018&sprefix=dietr%2Caps%2C170&sr=8-1


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Il diario paziente

Il diario paziente in terapia intensiva e la relazione di cura

Il diario paziente: la relazione messa per iscritto

“Buon giorno sig. Giovanni, mi chiamo Sergio e sono l’infermiere che si occupa di lei questa mattina. Le scrivo questo diario perché le sue condizioni hanno spinto i medici a somministrare dei sedativi… in altre parole lei si trova in coma farmacologico e quando si sveglierà (speriamo fra pochi giorni) non avrà memoria di quanto le è accaduto e di come avrà vissuto queste giornate. Cosi’ ho deciso di scrivere questo diario in cui le racconto quanto accade….”

E’ con parole simili a queste che spesso si inizia una diario paziente nella nostra terapia intensiva.

L’inizio turno

L’infermiere inizia il turno di mattina, ancora assonnato “prende consegna” e si dirige verso questo signore sconosciuto, di cui ha poc’anzi ascoltato la storia clinica.

Lo guarda, lo osserva…. Quando osserviamo qualcuno per la prima volta proviamo delle sensazioni: ha un viso simpatico, è brutto, è bello… L’infermiere raccoglie quelle sensazioni… Quasi sempre ha un istinto di protezione; quasi paterno. Il paziente è gonfio, respira grazie a con un tubo in bocca che gli deforma l’espressione…sembra quasi che rida da un lato. L’uomo è collegato a vari macchinari, di cui l’infermiere ben conosce il funzionamento e le proprietà terapeutiche.

Iniziano le cure

Iniziano le cure del mattino…L’infermiere controlla tutto: imposta gli allarmi del monitoraggio, controlla i farmaci spinti da sofisticate pompe infusionali…Controlla le funzioni vitali, anche quelle piu’ basilari: gli atti respiratori, la frequenza del cuore, l’urina, la digestione…. Neanche di un neonato si contano gli atti respiratori!!! In terapia intensiva si’! L’uomo è talmente annichilito che gli serve un infermiere per contare e controllare gli atti respiratori.

Iniziano i lavori di routine… L’infermiere prende una bacinella o delle salviette umide e inizia a lavare lo sconosciuto… L’ha visto per la prima volta mezz’ora fa e ora lo lava. C’è qualcosa di evangelico in tutto questo? No, forse c’è solo qualcosa di umano. L’infermiere prende la mano dell’uomo e lava, poi le braccia, il torace, l’addome, gli arti inferiori….Addirittura le parti intime.

Il dialogo

L’uomo, anche se addormentato, risponde. Gli si alza un po’ la pressione, la frequenza cardiaca. Quando viene girato tossisce e smuove le secrezioni. L’infermiere introduce un sondino nel tubo che esce dalla bocca e aspira il catarro. E tutto questo porta a una reciproca conoscenza. L’infermiere impara che il “suo” paziente (e si’, perché poi il paziente diventa una proprietà) è “sensibile” agli spostamenti, che ha catarro e ha bisogno di essere aspirato.

Arriva poi il momento della visita medica. Il medico chiede all’infermiere come si è “comportato” il paziente. Come si puo’ comportare una persona in coma? In realtà il medico vuole sapere come sono stati i suoi parametri vitali, se i farmaci prescritti hanno avuto effetto, se la febbre sta passando. L’infermiere risponde a tutte le domande e torna dall’uomo. Mette in atto i cambiamenti decisi durante la visita.

La famiglia

“Sergio, c’è al telefono la moglie del sig. Giovanni che vuole avere informazioni”… All’università si parla di privacy, ti dicono di non dare notizie al telefono… Ma loro che ne sanno di Giovanni e di sua moglie? Poi allora, visto che gli infermieri sono “codardi”, passa la telefonata al medico. Perché per il medico la privacy non vale…Ma prima pero’ l’infermiere chiede alla moglie qualcosa dell’uomo…. “Che lavoro faceva prima della pensione? Cosa gli piace fare? Ascolta musica? Di che tipo?”…. e poi ancora… “Avete nipoti? Che età hanno?”…. E la signora moglie si lancia…. Una timida risposa diventa un fiume.

La relazione

L’infermiere torna da Giovanni, prende lo smartphone (non si potrebbe usare il telefono in ospedale), apre youtube e sceglie una canzone di Vasco. Appoggia il telefono sul cuscino cosi’ che Giovanni possa ascoltare.

“…sa, anche se ci conosciamo da poco, mi sembra di conoscerla da molto… So che faceva il meccanico d’auto e aveva una passione per le auto d’epoca. Mi hanno detto che è appassionato di montagna e che amava fare delle belle passeggiate. Sono qui assieme agli altri infermieri e ai dottori per fare in modo che possa tornare presto alle sue passeggiate…non scali l’Everest pero’!!!

Poco fa l’ho girata nel letto in direzione della finestra. Sembrava contento. Ha infatti un viso rilassato. Spero che gradisca la musica di Vasco…”


Postintensiva.it è un portale creato da infermieri che operano nelle terapie intensive. Si occupa di umanizzazione delle cure e, fra le altre cose, promuove l’utilizzo del diario paziente come pratica di nursing narrativo.

Per ulteriori approfondimenti sulla tematica del diario paziente in terapia intensiva vai alla sezione dedicata.

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Storie di terapia intensiva

Racconti di terapia intensiva: la storia di Sabina

Sabina ha subito un ricovero in terapia intensiva dopo essere stata operata alla testa. Questo è il suo racconto di terapia intensiva.

Sabina ha inviato il suo racconto ad una suo amica tramite un messaggio whatsup.

Abbiamo il suo permesso per pubblicare il racconto di terapia intensiva con la convinzione che la condivisione del suo vissuto possa aiutare altri che stanno vivendo la stessa esperienza.

Nel racconto di terapia intensiva di Sabina emerge il problema della mancanza di ricordi e dell’amnesia.

Gli infermieri e i curanti devono essere consapevoli degli effetti che la sedazione ha sul lungo termine. Ridurre al minimo la sedazione delle persone ricoverate in terapia intensiva è una priorità.


Le mie memorie di terapia intensiva

Quel brutto mal di testa

Ricordo di essermi recata in pronto soccorso dopo circa una settimana di insistente mal di testa che non passava con nulla. Mi sentivo un po’ in imbarazzo di recarmi in pronto soccorso per un cosa che consideravo banale, ma che poi mi sarebbe costata tre mesi di ricovero.

L’ultimo mio ricordo è che mi trovavo in sala d’attesa e sono stata chiamata per eseguire una tac.

Poi il vuoto assoluto!!!!

Terapia intensiva: l’assenza di ricordi

Mi hanno raccontato che avevo perso conoscenza, che avevo subito un intervento alla testa e che ero stata in coma per alcuni giorni (credo otto).

Non ricordo nulla, nemmeno di aver visto i miei cari al risveglio o di aver sentito le loro voci.

Dicono che durante lo stato di coma si percepisca qualcosa…Io pero’ non ricordo assolutemente nulla.

Ho un vago ricordo dei giorni a seguire…. Sicuramente ricordo di essere stata legata mani e piedi per impedirmi di staccare le flebo e credo di aver chiesto ripetutamente di essere slegata.

Ricordo il via vai frenetico degli infermieri, il monitor della terapia intensiva scambiato per un televisore e ricordo di aver dato a qualcuno un elenco di cose da comprare.

Ero convinta di trovarmi in Spagna e non in un letto di ospedale.

Promettevo regali a tutti gli infermieri perchè inconsciamente mi sembrava di avere un debito verso di loro.

Non ricordo di aver visto nessuno dei miei cari: nè i miei figli, nè mio marito e nemmeno i miei genitori nonostante venissero a trovarmi tutti i giorni.

La ripresa…

Il mio primo ricordo effettivo risale a circa quindici giorni dopo quando sono stata trasportata nel reparto di chirurgia in attesa di passare alla riabilitazione per recuperare tutte le funzioni motorie che non sapevo piu’ gestire.

Un percorso lungo e faticoso costellato da paure altalenanti del futuro anche piu’ prossimo fino a rafforzarmi giorno per giorno riprendendo contatti con la vita.

Ricordo quel periodo come un buco nero caratterizzato dalla continua sensazione di non essere padrona di me stessa, ma in balia di infermieri e personale ospedaliero che si prendeva cura di me per tutto.


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Storie di terapia intensiva: la storia di Shara (seconda parte)

Pubblichiamo la seconda parte racconto di terapia intensiva di Shara… Continuano le allucinazioni e il delirium, poi finalmente il ritorno a casa.

Shara, nel suo racconto di terapia intensiva, ci parla della sua PICS (Post Intensive Care Syndrome) e delle problematiche che ha dovuto affrontare: difficoltà cognitive, psicologiche e fisiche.

Per leggere anche la prima parte della storia di Shara clicca sul seguente link.


Il delirium

E’ giunto un fattorino che porta le pizze per il personale dell’ospedale. Il mio fidanzato e mia figlia andavano via dopo essermi venuti a trovare e mi sentivo come se dovessi andare con loro. Mi sono sentita cosi’ abbandonata.

Mi sono messa a piangere e mi lamentavo con l’infermiera dicendo che loro mi avevano abbandonato e che dovevo andare a prendere il treno per andare a casa.

L’ospedale si è trasformato in una zona di guerra. E’ stata una scena terrificante vedere l’intero ospedale entrare in una zona di guerra con barelle e personale in fuga dappertutto, sentire spari ed elicotteri. Una donna dire al suo bambino :”Quello è l’uomo che ha sparato a tuo padre”.

Ho chiesto all’infermiera di accendere la tv sul canale per vedere cosa succede al di fuori.

A chi importava tutto questo? Mi hanno lasciato in questo ambiente violento. La rabbia e la depressione persistevano dopo che l’apparato respiratorio era stato rimosso.

Quando ho iniziato a uscire da questi pensieri deliranti avevo una nuova infermiera che mi parlava con una voce calma, e benchè non potessi vederla, lei è stata l’ultima a cercare di convincermi dove realmente fossi.

La sfida continuava e per avere una prova le ho chiesto di verificare il nome del mio fidanzato e il numero di telefono e di telefonargli chiedendogli di venire. Lei è stata quella che si è guadagnata la mia fiducia ed ha contribuito a ridurre l’estrema ansia e io credo che fosse per il modo in cui mi parlava.

L’assenza di consapevolezza

Quando sono stata piu’ sveglia e mi è stato detto che ero li’ già da piu’ di due settimane, che ero stata intubata e che le cose si stavano risolvendo, sono diventata piu’ confusa e arrabbiata.

Ero davvero cosi’ grave? Avevo relmente bisogno di essere intubata? Ero certa di non aver bisogno di essere ospedalizzata! L’hanno fatto per il loro tornaconto e ho chiesto a tutti di lasciarmi da sola.  Questo è uno scherzo e sono tutti d’accordo. Le montagne russe dell’impotenza, della confusione, della paura si sono presto trasformate in rabbia e volevo solo morire. Ero cosi’ risentita che volevo che tutti se ne andassero e mi lasciassero morire.

Mia sorella è venuta a trovarmi e mia ha chiesto se volessi che lei restasse:

La malattia che mi aveva portato in terapia intensiva nel 2006 era piu’ grave di questa, ma questa volta è stato differente. Questa volta è stata molto dura. Le allucinazioni sono state terribili, uniche, molto reali e molto negative. Nel 2006 le allucinazioni erano state poche e io ne ricordo solo tre. 

Questa volta è stato cosi’ terribile a causa dei farmaci?

Emozioni…

Frustrazione, risentimento, rabbia e depressione sono state le mie prime emozioni quando la “nebbia” ha iniziato ad abbandonarmi.

Le mie corde vocali erano danneggiate. La mia voce non aveva forza, piuttosto un piccolo sibilo e non riuscivo a parlare con nessuno , specialmente tramite il pulsante di chiamata delle infermiere. Sono stata alimentata tramite sonda ed i miei muscoli si erano letteralmente sciolti nel letto. Non avevo nè voce, nè muscoli. Non sapevo in quale corpo fossi.

A parte il mio meraviglioso fidanzato, sono stata fortunata che mia figlia di ventun anni é venuta a casa. E’ rimasta alcune notti con me in ospedale, mi accarezzava il viso e mi sistemava in modo che non potessi danneggiare i vari tubi. Mi ha sostenuto e mi ha impedito di infrangere le regole (bere liquidi)!

Si lamentava anche dei normali problemi dei giovani-adulti.

Ero pronta per essere dimessa, a mio parere, e ho fatto di tutto per dimostrarlo. L’unica che non ha voluto firmare le dimissioni è stata la logopedista.

La dimissione dalla terapia intensiva

Si giustificava dicendo che la mia deglutizione non aveva ripreso adeguatamente per poter essere dimessa. Ero troppo debole e non avevo la voce per replicare. Le ho chiesto ripetutamente se avesse letto la mia documentazione riguardo i miei problemi di deglutizione preesistenti e che ho sempre disfagia. Continuava a dire che non l’aveva ancora fatto – cosi’ frustrante. 

Non era li’ forse per aiutarmi? Mi ha chiesto perchè me ne volessi andare e io le ho risposto che non miglioro in ospedale e che la mia depressione stava peggiorando.

Appena mi sono un po’ ripresa mentalmente ho pressato cosi’ tanto che alla fine ha firmato per la rimozione della sonda gastrica.

Finalmente a casa…la PICS (Post Intensive Care Syndrome)

Sono cosi’ contenta di essere a casa, lavarmi fuori dall’ospedale, stare nel mio letto con i miei gatti. Ma queste sono state piccole gratificazioni.

La depressione, il risentimento e la confusione continuavano. La mia voce non era ancora tornata e il fatto che riuscissi a malapena a sollevare un piatto contribuiva al mio risentimento.

Mi sono state prescritte fisioterapia e logopedia per le mie corde vocali. Sebbene fornissero una sorta di “socializzazione” , posso dire che la terapia fisica è stata la chiave. Mi ha costretto a lavorare con un’altra persona, ha dato fiducia in se stessa e mi ha permesso di realizzare (per almeno mezz’ora) che le cose potevano andare molto peggio 

Riprendevo forza, la fiducia in me stessa stava aumentando e le cose andavano nel verso giusto.

Il fisioterapista mi ha motivato per muovermi fisicamente in maniera responsabile. Ho iniziato col fare piccole cose come guidare fino al negozio di alimentari o in farmacia. La mia voce è lentamente ritornata permettendomi di tornare a frequentare la terapia cognitiva e psicoterapia.

Le allucinazioni avevano realmente affetto la mia psiche. Nessuno puo’ capire finchè non prova. Avevo annotato quante piu’ allucinazioni potessi ricordare e avevo scarabocchiato alcune immagini. Ho consegnato tutto al mio terapista per darle l’idea di quanto fossi “incasinata”. Lo scrivere tutto quello che ho potuto è stato un vantaggio importante perchè in questo modo assumevo io il controllo piuttosto del contrario.

Assenza di ricordi

Ho chiesto alla mia famiglia di vedere tutti messaggi che si sono scambiati. Ho chiesto cosa dicessi, cosa facessi. Qualunque cosa per colmare quel vuoto .

Dopo circa due mesi i miei capelli hanno iniziato a cadere come durante il trattamento per il cancro. Questo non è stato di aiuto alla mia autostima e depressione. Averi veramente apprezzato che qualcuno mi avesse avvisato che questa cosa potesse accadere.

Benchè la nebbia nel mio cervello fosse iniziata a scomparire la mia memoria a breve termine ne è rimasta affetta. Non riesco a ricordare il Natale (due settimane prima del ricovero in terapia intensiva) e anche la mia vacanza in Europa fatta poco prima.

Quindi non sono sicura di quando potro’ dire “sono guarita”. La mia depressione sta peggiorando e i miei muscoli, la memoria, le abilità cognitive non stanno migliorando molto velocemente (dopo sette settimane). Non riavro’ indietro queste cose.

Non ho idea di chi fossi prima della terapia intensiva tranne che avevo programmato di lavorare e nuotare ancora. Mi sento diversa e vulnerabile. Mi sento costantemente imbarazzata riguardo cosa potrei aver detto o fatto, non solo verso I miei familiari, ma anche verso I curanti.

Le allucinazioni mi stanno ancora consumando e nessuno comprende. Recentemente ho sperimentato dei flashback di cose di cui non ricordavo.

C’è moltissima pressione (probabilmente auto imposta) per dire “è bellissimo essere viva, sono cosi’ fortunata e cosi’ grata”, ma per qualche ragione , questa esperienza di terapia intensiva, mi ha buttata giu’ troppo per poterlo affermare in modo autentico, anche se molte persone stanno peggio di me.

Quando sono molto giu’ mi viene in mente l’idea malata di tornare indietro. Il posto da cui avevo il desiderio di scappare e voglio tornarci?

La mancanza di aiuto per vivere il post terapia intensiva

Quello che credo mi avrebbe aiutato molto, in aggiunta alla fisioterapia e alla psico terapia, sarebbe stato del counseling familiare. Conversazioni intense con la famiglia (spiegazioni, follow up con anche opuscoli) su come affrontare le ripercussioni della terapia intensiva come ad esempio le disfunzioni cognitive, le allucinazioni, la perdita dei capelli, I flashback, le discrepanze fra realtà e memoria.

Il diario di terapia intensiva

Sarebbe anche un ottimo modo per riprendersi la lettura dei diari che i familiari, gli infermieri, e , se possibile, i pazienti scrivono anche con scarabocchi e disegni.

Anche i medici devono parlare in modo gentile, solidale, positivo, premuroso e, se necessario, essere dei “buoni e cattivi poliziotti” allo stesso tempo.

Uno dolce e incoraggiante e l’altro che mette in atto le procedure necessarie. Ovviamente sarebbe necessario un modo meno barbaro di trattenere i pazienti quando necessario. Questo diminuirebbe di sicuro la quantità e l’intensità delle allucinazioni.

Ho messo assieme cosi’ tanti scritti tra membri della mia famiglia, salvato le mie comunicazioni scritte, cosi’ come il mio registro e i miei disegni.

Domani incontrero’ il mio pneumologo in terpia intensiva per aiutarmi col metabolizzare questa esperienza, mettendo assieme tutti i pezzi del puzzle.

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Umanizzazione

Umanizzazione delle cure in terapia intensiva: di cosa si tratta

Umanizzazione delle cure in terapia intensiva: cosi’ semplice da essere difficile

Nel gennaio 2019 compare sulla rivista “Critical Care” questo articolo sull’umanizzazione delle cure in terapia intensiva.

E’ un articolo breve e semplice che mette in guardia gli operatori sanitari medici e infermieri sul rischio della disumanizzazione delle cure in terapia intensiva.

Medici e infermieri, leggendo questo articolo, non possono esimersi da un “esame di coscienza” e chiedersi se le cure erogate sono umanizzate o disumanizzate.

Pubblico l’articolo tradotto. A questo link è possibile scaricare l’articolo originale.

Buona lettura!!!


Umanizzare la terapia intensiva

AUTORI:

Michael E Wilson 1 2 3, Sarah Beesley 4 5 6, Amanda Grow 7, Eileen Rubin 8, Ramona O Hopkins 4 5 9, Negin Hajizadeh 10, Samuel M Brown 11 12 13 14 15

Introduzione

Nel tentativo di correggere i danni d’organo, i curanti potrebbero trascurare di considerare quello che sta vivendo il paziente: il sentirsi ad un passo dalla morte, il non essere in grado di parlare, l’essere spogliato, l’avere estranei che entrano nella stanza e allo stesso tempo fanno “cose” al proprio corpo senza spiegazione, l’avere tubi inseriti , l’avere le braccia contenute, il sentire una cacofonia di allarmi disorientanti di cui non si comprende il significato, l’essere scossi e stimolati- tutto mentre la famiglia è assente. Mettendo assieme questi fattori, i pazienti spesso non hanno memoria o comprensione di come sono finiti in questa terrificante situazione. L’encefalopatia rende difficoltoso per i pazienti dare un senso alla miriade di stimoli dolorosi. Pazienti e famiglie devono cedere tutto il controllo.

In tutto questo caos percepito, alcuni pazienti che sperimentano patologie gravi, possono subire una perdita di umanizzazione. Questa perdita di umanizzazione puo’ esprimersi in varie forme, includendo la perdita della personale identità, del controllo, del rispetto, della privacy, dei sistemi di supporto ed è riferita come una disumanizzazione. La disumanizzazione consiste nel trattare qualcuno come un oggetto, piuttosto che come una persona ed è spesso associata al mancato rispetto della dignità.

Che aspetto ha la disumanizzazione della terapia intensiva?

I pazienti di terapia intensiva sperimentano una devastante perdita di personale identità. Al posto di essere identificati coi loro nomi, personalità, interessi, famiglia e cultura, i pazienti sono ridotti al loro numero di stanza, alla loro patologia, o al trattamento che ricevono – per esempio: “512 l’infezione in risoluzione”. Le identità personali sono anche perse dalla biancheria standardizzata dell’ospedale (l’”abito dell’ospedale”), dall’incapacità di comunicare, dal delirium, dall’igiene compromessa, dall’assenza di occhiali o ausili per sentire. I pazienti perdono anche la loro capacità di controllare l’ambiente,  di governare le loro stesse azioni, di difendere se stessi – spesso aggravato dalla perdita di coscienza. Quando si relazionano con un paziente incosciente o che non puo’ parlare, i medici potrebbero entrare nella stanza del paziente senza presentarsi, spostare o aprire il camice del paziente e toccarlo senza preavvisarlo, parlare con l’infermiere riguardo le condizioni cliniche e lasciare la stanza del paziente senza dire una singola parola al paziente. I pazienti con coscienza alterata spesso riportano ricordi traumatici della loro esperienza in terapia intensiva e si sentono come se i loro corpi non fossero persino piu’ i loro. Inoltre, i pazienti spesso perdono le loro famiglie visto che sono accompagnati nelle sale d’attesa. In sostanza, la restrizione delle visite rimuove sistematicamente dal letto del paziente gli “esperti mondiali” di quel particolare paziente, oltre ad allontanare il principale sistema di supporto della maggior parte dei pazienti- il tutto nel momento di maggiore vulnerabilità delle loro vite.

Umanizzazione e disumanizzazione delle cure in terapia intensiva
Fig.1 Disumanizzazione e umanizzazione delle cure in terapia intensiva

Perchè accade la disumanizzazione dei pazienti nelle terapie intensive?

L’alto carico di lavoro e il burn out possono portare i membri del team di cura a diventare desensibilizzati agli aspetti umani delle malattie gravi. I regolamenti e le culture di molte terapia intensive (come la restrizione delle visite) promuovono la disumanizzazione prendendo ulteriormente il controllo  dai pazienti e le loro famiglie. Anche i modelli frammentati di erogazione delle cure (lavoro su turni) possono impedire ai medici di terapia intensiva di riconoscere i pazienti come persone.

I medici potrebbero non rendersi conto che i pazienti che appaiono incoscienti possono sentire e ricordare quanto stanno vivendo. Mentre i medici di terapia intensiva possono essere esperti nella conoscenza delle patologie gravi acute, pochi hanno fatto l’esperienza di essere pazienti di terapia intensiva o pensano attentamente cosa possa essere questa esperienza. Per quei curanti che sono stati anche pazienti di terapia intensiva, l’esperienza ha insegnato loro l’importanza della presenza della famiglia al posto letto, del tocco fisico come lo stringere una mano, le parole calme di spiegazione, sicurezza e supporto.

Come possiamo considerare l’umanité della persona nel letto?

Molte considerazioni possono migliorare il trattamento dei pazienti nelle terapie intensive.

Primo, raccomandiamo visite familiari centrate sul paziente – l’unica restrizione di routine dovrebbe essere guidata dalla richiesta del paziente. L’apertura alle visite sono associate ad una diminuzione dell’ansia, della PTSD, dell’agitazione, una diminuita durata del ricovero in terapia intensiva, una piu’ alta soddisfazione del paziente/famiglia, e una migliore sicurezza del paziente.

Secondo, raccomandiamo di parlare ai pazienti di terapia intensiva, anche se deliranti, comatosi o incapaci di parlare. Entrando nella stanza del paziente i curanti dovrebbero presentarsi spiegando il loro ruolo e cosa sta per accadere. Ad esempio un medico puo’ stringere la mano di un paziente e dire :”Buon giorno sig. Giovanni, sono il dott. Stuart, il viceprimario del nostro team di terapia intensiva. Sono qui per controllare il suo cuore ed i suoi polmoni. Dovrei spostare la camicia dal torace e ascoltare il suo cuore col mio stetoscopio”.  Strategie per riorientare i pazienti e spiegare cosa succede è associato a minor delirium, minore durata della ventilazione meccanica e minor uso di sedazione.

Terzo, raccomandiamo di ridurre al minimo gli effetti della coscienza alterata e della ridotta mobilità, incluso sforzi individuali per ridurre al minimo la sedazione, ridurre il delirium e promuovere mobilizzazione precoce e fisioterapia.

Quarto, raccomandiamo di imparare qualcosa sul paziente come persona. Cose come “get to know me board” (conoscimi a bordo) o fotografie della vita del paziente prima del ricovero possono aiutare i clinici a capire meglio il paziente come persona. Alcuni di noi iniziano gli incontri con la famiglia chiedendo “ Mi racconti qualcosa di lui come persona. Quali sono i migliori racconti che possono aiutarci a capire il sig./sig.ra come persona?”.

Implicazioni della disumanizzazione

Gli aspetti chiave della malattia dei pazienti, cosi’ come i comportamenti/attitudini del team dei curantI, contribuiscono alla disumanizzazione dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Il non trattare i pazienti come esseri umani puo’ procurare serie conseguenze per il benessere fisico e mentale dei pazienti, sia durante la fase acuta della malattia che durante il loro recupero molto tempo dopo. Quando i curanti non riescono a considerare le identità personali dei loro pazienti, c’è il rischio di potenziali pregiudizi nel modo in cui i medici eseguono una prognosi e nelle decisioni che riguardano la sospensione del supporto vitale. Lo sforzo di umanizzare la terapia intensiva puo’ avere benefici nel rafforzare l’atteggiamento del paziente e l’impegno per raggiungere il proprio benessere. Comprendere e affrontare i fattori, a tutti i livelli, che contribuiscono alla disumanizzazione della terapia intensiva, rappresentano aree significative e necessarie per l’indagine e l’intervento nei nostri sforzi per promuovere cure di alta qualità.

affiliazioni

  • 1Division of Pulmonary and Critical Care Medicine, Mayo Clinic, Rochester, MN, USA.
  • 2Robert D. and Patricia E. Kern Center for the Science of Health Care Delivery, Mayo Clinic, Rochester, MN, USA.
  • 3Biomedical Ethics Program, Mayo Clinic, Rochester, MN, USA.
  • 4Center for Humanizing Critical Care at Intermountain Healthcare, Murray, UT, USA.
  • 5Pulmonary and Critical Care Medicine, Intermountain Medical Center, Murray, UT, USA.
  • 6Pulmonary and Critical Care Medicine, University of Utah School of Medicine, Salt Lake City, UT, USA.
  • 7ICU Patient and Family Advisory Council, Intermountain Medical Center, Salt Lake City, USA.
  • 8ARDS Foundation, Northbrook, IL, USA.
  • 9Department of Psychology and Neuroscience, Brigham Young University, Provo, UT, USA.
  • 10Division of Pulmonary Critical Care Medicine, Zucker School of Medicine at Hofstra/Northwell, Manhasset, NY, USA.
  • 11Center for Humanizing Critical Care at Intermountain Healthcare, Murray, UT, USA. Samuel.brown@imail.org.
  • 12Pulmonary and Critical Care Medicine, Intermountain Medical Center, Murray, UT, USA. Samuel.brown@imail.org.
  • 13Pulmonary and Critical Care Medicine, University of Utah School of Medicine, Salt Lake City, UT, USA. Samuel.brown@imail.org.
  • 14Division of Medical Ethics and Humanities, University of Utah School of Medicine, Salt Lake City, UT, USA. Samuel.brown@imail.org.
  • 15Shock Trauma ICU, Intermountain Medical Center, Murray, UT, USA. Samuel.brown@imail.org.

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