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Umanizzazione

La relazione infermiere paziente in terapia intensiva

Conoscere la persona ricoverata

Proviamo a immaginare un mondo dove vi sono persone che, per un periodo piu’ o meno lungo della loro vita, non abbiano alcuna relazione. Un mondo in cui alcuni sono chiusi ermeticamente in loro stessi, senza lasciar trasparire emozioni e senza manifestare alcuna reazione al mondo che li circonda.

Pensiamo a una persona ricoverata in terapia intensiva, in coma farmacologico, magari con tutti i muscoli paralizzati, un tubo in gola collegato a un respiratore artificiale. Gli unici movimenti sono quelli del torace che, forzatamente, si alza e si abbassa ritmicamente e passivamente.

Mi chiedo quindi quale possa essere la relazione che si instaura fra un infermiere di terapia intensiva ed il “suo paziente” (il paziente non appartiene a nessuno, ma mi perdonerete il gergo).

La relazione infermiere paziente

La relazione, qualunque relazione, ha alla base una domanda, o forse meglio due domande… “chi è l’altro in sé stesso” e “chi è l’altro per me”? Inoltre ogni relazione si costruisce con la comunicazione (non parlo solo di quella verbale).

Come fa un infermiere di terapia intensiva a creare una relazione infermiere paziente che sia terapeutica. Come fa a creare un legame, con una persona che non conosce, di cui non sa nulla, che non risponde alle sue domande, che non comunica. Ogni volta che “diciamo qualcosa a qualcuno” abbiamo sempre un feedback: l’altra persona annuisce, risponde con parole, postura, ecc…

Forse l’infermiere di terapia intensiva immedesima sé stesso nella persona che sta curando (e si’… per chi non lo sapesse l’infermiere è in grado di curare!!!); pensa che quell’anziano possa essere un nonno, o un padre; che quel giovane possa essere un fratello.

L’infermiere sa che dietro quella persona c’è un mondo…un mondo fatto di relazioni, di emozioni, di affetti.

Il “mondo persona”

E forse è proprio quel mondo che l’infermiere vuole “preservare”. Il somministrare terapie, il controllare i volumi polmonari, il monitorare i battiti del cuore o il respiro, serve a ripristinare la salute delle cellule di cui quel corpo è fatto. Ma il fine è proprio per preservare e avere cura del “mondo persona”.

Ecco che allora “il tocco” dell’infermiere sarà gentile, delicato, rispettoso…Parlare alla persona intubata e incosciente “personifica la persona” e renderà quindi la cura piu’ umana.

E cosi’ inizia una relazione infermiere paziente.

E se l’intento, il fine dell’infermiere è di curare il “mondo persona” non può non essere curioso di conoscere, anche da altri, chi sia quella persona.

Non esiste infermiere di terapia intensiva che non abbia ascoltato (che bella parola… ascoltare!!!) i racconti dei familiari. Non esiste infermiere che non abbia ascoltato una moglie parlare del marito, o un figlio parlare di suo padre. E che forza che hanno questi racconti!!!

Evoluzione

Ecco che, dopo alcuni giorni o qualche settimana, il “paziente” migliora e nello schema terapeutico dei medici, indipendentemente dalla malattia che ha portato la persona in terapia intensiva, si prova a diminuire i farmaci sedativi. La persona diventerà piu’ responsiva. L’espressione del viso e l’atteggiamento verranno costantemente osservati dall’infermiere che, pronto a cogliere fastidio o dolore, potrà intervenire.

Via via la persona diventa in grado di rispondere “si’” o “no” con la testa, può stringere le mani.

Che importanza può avere, soprattutto in questa fase, la voce calma e rassicurante dell’infermiere che spiega alla persona le manovre che si accinge a compiere!!! E poi le spiegazioni di quanto avviene attorno, il riorientamento nel tempo e nello spazio, il collegamento con famiglia e gli amici.

Finalmente la persona è estubata e sta bene.

Sta bene anche perché qualcuno si è relazionato e lo ha accompagnato come alleato in un percorso buio e faticoso… Percorso che non è ancora finito, ma forse, grazie a questo nuovo legame che si è costruito, sarà meno complicato di quanto sarebbe stato.


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