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Covid 19: lettera di un’infermiera

Sono Stefania, infermiera specializzata in terapia intensiva nel reparto covid. Come mai  scrivo? Per condividere? Per chiedere? Per dimostrare?

Non lo so, o meglio, forse per tutte queste ragioni, ma poco importa: sento il bisogno di farlo.

Settimana scorsa ho fatto il turno notturno al reparto Covid dedicato, in camera con due pazienti intubati. Non ho bisogno di spiegarlo ai colleghi, ma per chi non l’ha mai vissuto, il lavoro notturno ha caratteristiche tutte sue (in situazioni non di urgenza, chiaramente): ritmi più blandi, meno persone in reparto, il rispetto del silenzio per favorire il sonno dei pazienti, maggiore condivisione con colleghi medici di chiacchiere, caffè, ecc.

Poi arriva il Covid e la situazione cambia: cambio di reparto, di routine, di armadi, vestirsi, fare attenzione, condividere informazioni sempre nuove, trasmettere nuove procedure, fare l’inventario del materiale, richiedere materiale, farmaci…

E i pazienti? Appunto i pazienti… ne curo due che sono nella stessa camera: li valuto, li posiziono correttamente, controllo la terapia, insomma, le “solite cose”; condivido con la collega informazioni riguardo l’impostazione della PEEP, la driving pressure, l’emogasanalisi, l’emodinamica, ecc.

Mi pare di conoscerli meglio ora, i “miei pazienti”; ma come li conosco? Di loro so l’anamnesi, il motivo del ricovero e la situazione clinica attuale. Sulla cartella riesco a risalire al loro indirizzo e numero di telefono dei famigliari più stretti.

Basta.

Il diario…

Sono le 3.30 e mi accingo a scrivere il diario di uno dei due pazienti (che da un po’ utilizziamo nel reparto dove lavoro). Comincio con il saluto: “Buonasera signor Bruno…”  mi fermo, penso che questo signore porta lo stesso nome di mio padre e lo scrivo.

Continuo scrivendogli come lo vedo, in che posizione si trova, che dorme, che non può parlare, che ha l’emofiltrazione, ecc.

Termino con una formula di chiusura un po’ insolita, scrivendo: “Bruno è un nome adatto alle persone speciali.”

Penso ancora ora a quella notte,  ma soprattutto al momento in cui mi sono resa conto che di quel signor Bruno, io non so proprio NULLA. Non ho mai parlato con una moglie, un figlio o un nipote che mi possano raccontare di lui.

In questa situazione, il peggio è che il signor Bruno non può godere e sentire la presenza dei suoi e loro non possono vedere e sentire Bruno.

Questo  lo trovo inumano.

Come professionista questa situazione la vivo come una castrazione: mi manca il racconto delle persone che mi descrivono Bruno, che lo rendono ai miei occhi speciale come il nome che porta.

Forse ora capisco come mai ho scritto: ho fatto ordine nei miei pensieri, proprio come quella notte che ho scritto il diario per il signor Bruno, nella speranza che i miei pensieri scritti gli diano la possibilità di ricreare i momenti di questo brutto periodo per permettergli di ricostruire, capire e ricominciare una vita post terapia intensiva.


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Nursing narrativo: un nuovo modo di prendersi cura

Siamo certamente un miracolo da tutti i punti di vista, ma la natura della nostra facoltà di ricordare e di dimenticare sembra veramente al di là di ogni comprensione

Jane Austen, Mansfield Park (1814)

prendersi cura

Il nursing narrativo, a differenza dell’infermieristica basata sull’evidenza, riconosce la soggettività dell’individuo. Nella pratica il nursing narrativo è quel tempo dedicato a produrre un cambiamento culturale tale che vede nell’ascolto e nella relazione con la persona, elementi imprescindibili dalla cura.

Ascoltarsi e raccontarsi permettono di dare significato e forma al mondo in cui si vive e all’identità che è in perenne revisione e definizione.

Nel contesto “malattia” il racconto di sé è più che mai importante proprio per dare un senso a ciò che accade ed è accaduto; quindi la narrazione permette alla persona malata di raccontarsi, elaborare, accettare fatti e vissuti.

Per il curante il nursing narrativo permette di trovare spazi per accogliere la persona con empatia e accoglienza; di riflettere sul proprio operato in modo consapevole e riflessivo; ciò permette la costruzione dei percorsi di cura e assistenza condivisi e di conseguenza, efficaci.

La relazione che scaturisce dal ponte “nursing narrativo” fra curante e persona malata, si traduce in una condivisione del piano di cura basato sulla peculiarità e specificità della persona.

Diversi sono gli strumenti utilizzati per il nursing narrativo:

  • Colloquio condotto con competenze narrative
  • Interviste semistrutturate (registrate o meno)
  • Incontri di gruppo
  • Scrittura riflessiva
  • Focus group
  • Gruppi di auto aiuto
  • Educazione terapeutica
  • Web
  • Blog
  • Social network

Questo “cambiamento culturale”, attraverso questi strumenti, permette di avere molteplici applicazioni e campi di azione: ambulatori, sevizi di riabilitazione, reparti di cura per acuti, terapie intensive, case per anziani, tele nursing., ecc….

L’Evidence Based Nursing non si contrappone alla narrazione. Al contrario i due paradigmi di completano a vicenda. La cura della persona infatti è l’unione del metodo scientifico e dell’ascolto.

L’umanizzazione delle terapie intensive deve passare attraverso i bisogni vissuti e sentiti dai pazienti ed il nursing narrativo è probabilmente il piu’ potente strumento per portare avanti una umanizzazione efficace delle terapie intensive.