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Storie di terapia intensiva

Sindrome da stress post traumatico dopo la terapia intensiva

Sindrome da stress post traumatico dopo la terapia intensiva raccontata dal un medico divenuto paziente


Il seguente video, realizzato da postintensiva.it, è tratto da un articolo pubblicato sul British Medical Journal il 22 maggio 2013 che racconta della sindrome da stress post traumatico vissuta da un medico divenuto paziente.

L’articolo, intitolato “Post traumatic stress disorder after intensive care” , riporta l’esperienza della dottoressa Shara Wake, giovane medico specializzando che, a causa di un attacco d’asma, si ritrova intubata in terapia intensiva.

Il giovane medico, divenuta paziente, racconta il proprio vissuto in terapia intensiva fatto di sensazioni sgradevoli, deliri e paure. Una volta guarita dalla malattia che ha causato il ricovero in terapia intensiva, dovrà affrontare il ritorno a casa e dovrà lottare molto dopo la terapia intensiva per riappropriarsi della propria vita.

La seconda parte dell’articolo è scritta dalla sua psicoterapeuta che racconta il percorso di guarigione fatto dalla sua paziente.

Il testo del video, letto da una speaker professionista, è la traduzione integrale della prima parte dell’articolo scritto dalla dott.ssa Wake.


Vedi la sezione del blog “storie di terapia intensiva

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Eventi

Sindrome da post terapia intensiva e riabilitazione domiciliare del long covid”

Conosciamo la sindrome da post terapia intensiva…

webinar il riabilitatore

Durante il webinar proposto si parlerà di sindrome da post terapia intensiva per consentire a chi segue i pazienti al domicilio, di conoscere e comprendere quanto vissuto dal paziente durante la sua permanenza nel reparto di terapia intensiva.

Il webinar è ospitato sulla pagina Facebook “ilRiabilitatore” .

IlRiabiliatore è la pagina Facebook dell’associazione “Fisioterapia e Riabilitazione”. La pagina, seguita da circa 22 mila iscritti, ospita costantemente webinar e corsi destinati principalmente a professionisti della riabilitazione.

QUANDO: Mercoledì 19 gennaio alle ore 21.00

A CHI E’ RIVOLTO: Evento per tutti

COSTO: Evento gratuito

COME PARTECIPARE: Per seguire il webinar è sufficiente collegarsi alla pagina facebook ilRiabilitatore cliccando il seguente link o sull’immagine della locandina dell’evento.


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Umanizzazione

La relazione infermiere paziente in terapia intensiva

Conoscere la persona ricoverata

Proviamo a immaginare un mondo dove vi sono persone che, per un periodo piu’ o meno lungo della loro vita, non abbiano alcuna relazione. Un mondo in cui alcuni sono chiusi ermeticamente in loro stessi, senza lasciar trasparire emozioni e senza manifestare alcuna reazione al mondo che li circonda.

Pensiamo a una persona ricoverata in terapia intensiva, in coma farmacologico, magari con tutti i muscoli paralizzati, un tubo in gola collegato a un respiratore artificiale. Gli unici movimenti sono quelli del torace che, forzatamente, si alza e si abbassa ritmicamente e passivamente.

Mi chiedo quindi quale possa essere la relazione che si instaura fra un infermiere di terapia intensiva ed il “suo paziente” (il paziente non appartiene a nessuno, ma mi perdonerete il gergo).

La relazione infermiere paziente

La relazione, qualunque relazione, ha alla base una domanda, o forse meglio due domande… “chi è l’altro in sé stesso” e “chi è l’altro per me”? Inoltre ogni relazione si costruisce con la comunicazione (non parlo solo di quella verbale).

Come fa un infermiere di terapia intensiva a creare una relazione infermiere paziente che sia terapeutica. Come fa a creare un legame, con una persona che non conosce, di cui non sa nulla, che non risponde alle sue domande, che non comunica. Ogni volta che “diciamo qualcosa a qualcuno” abbiamo sempre un feedback: l’altra persona annuisce, risponde con parole, postura, ecc…

Forse l’infermiere di terapia intensiva immedesima sé stesso nella persona che sta curando (e si’… per chi non lo sapesse l’infermiere è in grado di curare!!!); pensa che quell’anziano possa essere un nonno, o un padre; che quel giovane possa essere un fratello.

L’infermiere sa che dietro quella persona c’è un mondo…un mondo fatto di relazioni, di emozioni, di affetti.

Il “mondo persona”

E forse è proprio quel mondo che l’infermiere vuole “preservare”. Il somministrare terapie, il controllare i volumi polmonari, il monitorare i battiti del cuore o il respiro, serve a ripristinare la salute delle cellule di cui quel corpo è fatto. Ma il fine è proprio per preservare e avere cura del “mondo persona”.

Ecco che allora “il tocco” dell’infermiere sarà gentile, delicato, rispettoso…Parlare alla persona intubata e incosciente “personifica la persona” e renderà quindi la cura piu’ umana.

E cosi’ inizia una relazione infermiere paziente.

E se l’intento, il fine dell’infermiere è di curare il “mondo persona” non può non essere curioso di conoscere, anche da altri, chi sia quella persona.

Non esiste infermiere di terapia intensiva che non abbia ascoltato (che bella parola… ascoltare!!!) i racconti dei familiari. Non esiste infermiere che non abbia ascoltato una moglie parlare del marito, o un figlio parlare di suo padre. E che forza che hanno questi racconti!!!

Evoluzione

Ecco che, dopo alcuni giorni o qualche settimana, il “paziente” migliora e nello schema terapeutico dei medici, indipendentemente dalla malattia che ha portato la persona in terapia intensiva, si prova a diminuire i farmaci sedativi. La persona diventerà piu’ responsiva. L’espressione del viso e l’atteggiamento verranno costantemente osservati dall’infermiere che, pronto a cogliere fastidio o dolore, potrà intervenire.

Via via la persona diventa in grado di rispondere “si’” o “no” con la testa, può stringere le mani.

Che importanza può avere, soprattutto in questa fase, la voce calma e rassicurante dell’infermiere che spiega alla persona le manovre che si accinge a compiere!!! E poi le spiegazioni di quanto avviene attorno, il riorientamento nel tempo e nello spazio, il collegamento con famiglia e gli amici.

Finalmente la persona è estubata e sta bene.

Sta bene anche perché qualcuno si è relazionato e lo ha accompagnato come alleato in un percorso buio e faticoso… Percorso che non è ancora finito, ma forse, grazie a questo nuovo legame che si è costruito, sarà meno complicato di quanto sarebbe stato.


Leggi gli altri articoli della sezione “umanizzazione

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Umanizzazione

Terapia intensiva aperta

Quando si parla di terapia intensiva viene in mente l’idea di pericolo, di precarietà, di trincea… di un posto inaccessibile.

Di un posto dove se vuoi entrare bussi a un citofono ed esce un infermiere bardato che ti chiede chi sei, da chi vuoi andare ed in genere ti invita ad attendere.

La terapia intensiva è un posto dove, se vuoi entrare, ti devi mettere mascherina, camice protettivo, sovra scarpe.

Si entra un solo parente per degente, alternandosi. Visite brevi, restando fisicamente attorno all’unità del malato. Orario di visita: una o due ore al giorno. I bambini poi, secondo la preistorica mentalità di qualche barone, non possono entrare… I motivi sono i piu’ disparati: portano infezioni, sono immunodepressi, disturbano, piangono.  Come si sentiranno quei bimbi a cui non è stato permesso di separarsi da un nonno o, che cosa brutta solo a pensarci, da un papà? La terapia intensiva aperta fa parte di quel processo di umanizzazione della terapia intensiva che tanto manca nel nostro Paese

Questo “modello di arretratezza” tutto italiano (e sì perché all’estero in molte terapie intensive può entrare chiunque e senza limite di orario…. E non è che gli stranieri siano meno malati) sta, per fortuna, cambiando. Il 15 marzo 2013 infatti veniva presentata una proposta di legge dal titolo “Disposizioni concernenti la realizzazione di reparti di terapia intensiva aperta”.

Riporto qui sotto il discorso alla camera dei deputati con il disegno di legge. Alla fine il link dove scaricare il documento.


Disposizioni concernenti la realizzazione di reparti di terapia intensiva aperta

Onorevoli Colleghi! La questione dell’apertura dei reparti di terapia intensiva si inserisce nella delicata tematica dei diritti del malato e della considerazione di quest’ultimo come soggetto che, anche nello stato di malattia, deve essere posto in condizione di mantenere la propria dignità di essere umano.


      L’esigenza di andare a colmare il vuoto legislativo su questi temi nasce dal sempre più sentito bisogno di dare valore a tutta la sfera relazionale e affettiva che inevitabilmente si interseca con la pratica della medicina, in particolar modo quando si ha a che fare con le problematiche connesse all’assistenza ai pazienti «critici» ricoverati in reparti di cure intensive. Le sempre più numerose richieste indirizzate nel senso di prevedere la possibilità per le famiglie di questi degenti di essere ammesse a visite più frequenti e prolungate nei suddetti reparti per fornire il loro supporto al parente malato, dimostrano come nella società i tempi siano maturi per affrontare, anche da un punto di vista normativo, queste tematiche.

   L’alto livello di tecnologia che caratterizza i reparti di terapia intensiva fa sì che al loro interno il paziente sia fortemente «spersonalizzato» e venga dunque preso essenzialmente in considerazione solo l’aspetto relativo al corpo malato da curare, come se privarlo della sua dimensione relazionale fosse un logico prezzo da pagare in cambio di terapie volte alla guarigione.
   

La presente proposta di legge mira a portare al centro del sistema il malato in quanto persona e a far emergere l’importanza dell’aspetto relativo all’umanità dei trattamenti rivolti ai pazienti dei reparti in questione.


Alla base del tentativo di revisione delle prassi assistenziali in reparti di terapia intensiva vi sono infatti motivazioni di natura strettamente etica, legate alla consapevolezza della sofferenza cagionata al paziente e ai suoi familiari dall’isolamento.

Recenti studi realizzati nel nostro Paese (Giannini A. et al. Visiting policies in Italian intensive care units: a nationwide survey. Intensive Care Medicine 2008;34:1256-62; Giannini A. et al. Parental presence and visiting policies in Italian pediatric ICUs: a national survey. Pediatric Critical Care Medicine 2011;12:e46–e50; Giannini A. et al. «Andante moderato»: signs of change in visiting policies for Italian ICUs. Intensive Care Medicine 2011;37:1890), così come orientamenti espressi a livello regionale, quale quello della Commissione di bioetica della regione Toscana, hanno messo in evidenza la necessità, anche per l’Italia, di interventi specifici in materia.

I dati provenienti dagli Stati Uniti d’America e da altri Paesi europei dimostrano tutti, infatti, i benefici che possono scaturire attuando un atteggiamento più aperto del regime delle «visiting policies» (cioè delle regole che governano la presenza dei familiari e visitatori in terapia intensiva). L’Italia resta ancora tra i Paesi nei quali la presenza di familiari e visitatori nei reparti di terapia intensiva è soggetta a molte restrizioni: in media, il tempo di visita è limitato a circa due ore al giorno e solo il 2 per cento dei reparti non pone un limite alle visite nell’arco delle 24 ore (contro, ad esempio il 23 per cento delle terapie intensive francesi o il 70 per cento di quelle svedesi) (Knutsson S.E. et al. Visits of children to patients being cared for in adult ICUs: policies, guidelines and recommendations. Intensive and Critical Care Nursing 2004;20:264-74; Lautrette A. et al. A communication strategy and brochure for relatives of patients dying in the ICU. New England Journal of Medicine 2007;356:469-78).

Un consistente numero di reparti di terapia intensiva italiani non modifica le proprie «visiting policies» neppure quando il paziente ricoverato è un bambino (9 per cento) o quando il paziente sta morendo (21 per cento).

Limitazioni sono inoltre poste sia sul versante del numero di visitatori ammessi (il 92 per cento delle TI applica questo tipo di restrizioni), sia su quello del tipo di visitatori (il 17 per cento dei reparti ammette solo familiari stretti e il 69 per cento non permette che i bambini facciano visite).

Un atteggiamento maggiormente restrittivo si registra nei reparti con un alto numero di ricoveri e in quelli delle regioni meridionali e delle isole, dove gli orari di visite sono molto più limitati (i dati riportati sono ripresi dallo studio di Giannini A., Miccinesi G., Leoncino S., «Visiting policies in Italian intensive care units: a nationwide survey». Intensive Care Med 2008; 34: 1256-26). È inoltre da segnalare che un quarto delle TI italiane non dispone di una sala d’attesa per i familiari.


Dalla comparazione dei dati emersi da due studi realizzati nel 2006 e nel 2011 è stato rilevato come nel corso di questi cinque anni vi sia stato però un incremento dallo 0.4 per cento al 2 per cento dei reparti di terapia intensiva che non pongono limiti alla presenza dei familiari nelle 24 ore (Giannini A. et al. «Andante moderato: signs of change in visiting policies for Italian ICUs». Intensive Care Med 2011; 37:1890). Il cambiamento infatti ha preso avvio e circa un terzo delle TI italiane sta ripensando le proprie «visiting policies».

Nonostante questo cambiamento sia promettente, resta ancora chiaro che nelle TI italiane complessivamente permangono politiche di visita molto restrittive.
      Per molti medici e infermieri l’espressione terapia intensiva aperta rappresenta tuttora una sorta di ossimoro. Questo punto di vista è in buona misura coerente con la storia che abbiamo alle spalle. Infatti, a partire dalla loro creazione meno di cinquant’anni fa e per molti anni a seguire, i reparti di terapia intensiva sono stati strutture «chiuse», dove cioè l’accesso di familiari e visitatori era considerato pericoloso e, quindi, molto limitato. Tale strategia è stata frequentemente motivata con i timori riguardo al rischio di infezioni, all’interferenza con le cure al paziente, all’aumento dello stress per pazienti e familiari, nonché alla violazione della confidenzialità.


Le attuali conoscenze scientifiche non solo hanno fatto venir meno questi timori (Burchardi H., «Let’s open the door!» Intensive Care Medicine 2002;28:1371-2; Berwick decreto ministeriale, Kotagal M. «Restricted visiting hours in ICUs: time to change» JAMA 2004;292:736-7), ma hanno anche evidenziato che la separazione dai propri cari è un importante motivo di sofferenza per il paziente critico (Nelson J.E. et al. Self-reported symptom experience of critically ill cancer patients receiving intensive care. Critical Care Medicine 2001;29:277-82; Biancofiore G. et al. Stress-inducing factors in ICUs: what liver transplant recipients experience and what caregivers perceive. Liver Transplantation 2005;11:967-72) e che uno dei più importanti bisogni dei familiari è quello di fare visita al paziente, di potergli stargli accanto e di ricevere informazioni (Davidson J.E. et al. Clinical practice guidelines for support of the family in the patient-centered intensive care unit: American College of Critical Care Medicine Task Force 2004-2005. Critical Care Medicine 2007;35:605-22; Molter N.C. Needs of relatives of critically ill patients: a descriptive study. Heart Lung 1979;8:332-9; Leske J.S. Needs of relatives of critically ill patients: a follow-up. Heart Lung 1986;15:189-93).

Numerosi dati della letteratura scientifica suggeriscono che la liberalizzazione dell’accesso alla terapia intensiva per familiari e visitatori non solo non è in alcun modo pericolosa per i pazienti ma è anzi benefica sia per loro sia per le famiglie. In particolare la terapia intensiva aperta non causa un aumento delle infezioni nei pazienti, mentre si riducono in modo significativo le complicanze cardio-vascolari e gli indici ormonali di stress (Fumagalli S. et al. Reduced cardiocirculatory complications with unrestrictive visiting policy in an intensive care unit: results from a pilot, randomized trial. Circulation 2006;113:946-52; Malacarne P. et al. Health care-associated infections and visiting policy in an intensive care unit. American Journal of Infection Control 2011;39:898-900).

Un ulteriore effetto positivo è rappresentato dalla netta riduzione dell’ansia nei familiari (Garrouste-Orgeas M., Philippart F., Timsit J.F., et al. Perceptions of a 24-hour visiting policy in the intensive care unit. Critical Care Medicine 2008;36:30-5).


      Il termine terapia intensiva «chiusa» può essere utilizzato per indicare una struttura con accesso limitato che, pertanto, contiene o interdice la presenza, e talora anche la sola visita, dei familiari e degli altri visitatori. Per analogia, ma in modo quasi antitetico, la terapia intensiva aperta può essere invece definita come la «struttura di cure intensive dove uno degli obiettivi dell’èquipe è una razionale riduzione o abolizione di tutte le limitazioni non motivatamente necessarie poste a livello temporale, fisico e relazionale» (Giannini A. Open intensive care units: the case in favour. Minerva Anestesiologica 2007;73:299-305; Giannini A. The «open» ICU: not just a question of time. Minerva Anestesiologica 2010;76:89-90).

L’ «apertura» della terapia intensiva e la presenza dei familiari accanto al malato non sono dunque una sorta di «concessione» ma rappresentano una scelta utile e motivata, una risposta efficace ai bisogni del malato e della sua famiglia.

Questa scelta esprime il rispetto e l’attenzione dovuti al paziente, così come al suo diritto di definire le figure per lui più significative che lo possano accompagnare nel tempo della malattia grave.
      La presente proposta di legge mira proprio a riportare al centro dell’attenzione la persona ricoverata nella sua interezza, fatta di affetti e relazioni, anche in quei contesti di cura.
      Al fine della realizzazione di questo obiettivo, tra gli aspetti più rilevanti da affrontare vi è sicuramente quello concernente le prassi comunicative e di informazione.
      La presente proposta di legge è indirizzata nel senso della previsione di un’informazione esatta, veritiera e temporalmente articolata che deve diventare parte essenziale di ogni buona prassi assistenziale.

È necessario dedicare il tempo adeguato per comunicare i dati clinici, illustrare la possibile prognosi e le opzioni di trattamento. È importante che tali informazioni siano date nei modi e nei luoghi adatti. Rispetto alla comunicazione frammentata e parziale, spesso inefficace, propria di una terapia intensiva «chiusa», la comunicazione continua che scaturisce dalla presenza prolungata dei familiari comporta una loro maggiore comprensione e una crescente fiducia nei confronti dell’èquipe curante.

Si dimostra quindi indispensabile a questo fine porre in essere le condizioni necessarie per la formazione e lo sviluppo di un triangolo relazionale tra curanti, pazienti e famiglia che può trovare nell’apertura delle terapie intensive una delle sue espressioni più ricche di significato. Un’alleanza terapeutica di questo genere porterebbe particolari vantaggi sia ai degenti sia ai loro familiari specialmente nei casi più gravi di coloro che vivono nei reparti di terapia intensiva le ultime fasi della vita: l’evento morte, per quanto inevitabilmente traumatico, potrebbe essere in qualche misura meno gravoso se la famiglia potesse accompagnare il malato in quei momenti.

La terapia intensiva aperta può offrire un linguaggio e modalità di relazione più ampi e attenti, in grado di favorire meglio il dialogo e la discussione con il paziente e i suoi familiari per affrontare aspetti di particolare importanza e complessità (come la donazione degli organi o la sospensione di trattamenti non proporzionati).

L’èquipe sanitaria svolgerebbe dunque un ruolo in qualche misura di «sostegno qualificato» nei confronti dei parenti.
      A questo proposito la proposta normativa è volta a fornire a tutto il personale medico e infermieristico dei reparti di terapia intensiva gli strumenti necessari per potersi adeguare ai cambiamenti da attuare. Per la realizzazione di questo obiettivo si prevedrebbero infatti percorsi formativi specifici atti al raggiungimento di una consapevolezza condivisa di tutta l’èquipe curante coinvolta nel processo assistenziale.
      È importante sottolineare come l’apertura dei reparti di terapia intensiva non debba contemplare solo l’aspetto più pratico del termine, ossia quello del prolungamento dell’orario di visite.

È auspicabile invece che un cambiamento di questo genere vada nel senso di una valorizzazione del paziente in quanto persona e che quindi «apertura» significhi prioritariamente conciliazione delle tecnologie di questi reparti con le esigenze e capacità di relazione ed incontro.


Proposta di legge per la terapia intensiva aperta

Art.1

(Piano sanitario nazionale)

1. La realizzazione di reparti di terapia intensiva aperta costituisce obiettivo prioritario del Piano sanitario nazionale.

Art.2

(Linee guida per la realizzazione dei reparti di terapia intensiva aperta)

    1. Al fine di garantire l’umanizzazione delle cure e il rispetto della dignità della persona nei reparti di terapia intensiva e nel rispetto delle disposizioni sul riparto delle competenze in materia tra Stato e regioni, il Ministro della salute, previo parere del Consiglio superiore di sanità, definisce con proprio decreto, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le linee guida per la promozione, lo sviluppo e il coordinamento degli interventi regionali individuati dalla presente legge. Le linee guida definiscono le procedure e le modalità di gestione, di organizzazione e di assistenza nei reparti di terapia intensiva al fine di creare un modello assistenziale di «terapia intensiva aperta», previa analisi delle modalità organizzative e di assistenza nelle terapie intensive regionali, con le seguenti caratteristiche:

          a) regolamentazione degli orari di visita ai pazienti da parte dei familiari, compresi i minori di anni diciotto, al fine di garantirne l’accesso nei reparti di terapia intensiva per un periodo di tempo non inferiore alle dodici ore al giorno e nei reparti di terapia intensiva pediatrica e neonatale per un periodo di tempo non inferiore alle ventiquattro ore al giorno;

          b) definizione di tempi e modalità per un’adeguata comunicazione tra èquipe curante,paziente e familiari al fine di una piena condivisione delle informazioni e una migliore partecipazione alle decisioni diagnostico-terapeutiche;

          c) previsione della figura dello psicologo per il supporto psicologico al paziente e ai suoi familiari;

          d) identificazione di modalità assistenziali finalizzate a minimizzare il rischio di disturbi psicologici e comportamentali, in particolare se il paziente è un minore di anni diciotto;

          e) definizione per i medici e gli infermieri di adeguati itinerari formativi per acquisire e aggiornare una specifica competenza professionale in tema di comunicazione;

          f) definizione nei piani di edilizia sanitaria di spazi adeguati per la realizzazione del modello assistenziale della «terapia intensiva aperta», ivi compresa la disponibilità di spazi adeguatamente attrezzati per i familiari.

      2. Le linee guida sono aggiornate periodicamente, almeno ogni tre anni, in rapporto all’evoluzione tecnico-scientifica, con le medesime procedure di cui al comma 1.

Art.3

(Compiti delle regioni per la realizzazione dei reparti di terapia intensiva aperta)

      1. Le regioni intraprendono un percorso di trasformazione dei reparti di terapia intensiva al fine di realizzare e sostenere il modello assistenziale di «terapia intensiva aperta», adeguando gli stessi alle linee guida entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 2, comma 1.
      2. Ai fini di cui al comma 1, le regioni organizzano corsi di formazione per il personale medico e infermieristico al fine di identificare modelli organizzativi e modalità assistenziali finalizzati a favorire e supportare la comunicazione tra l’èquipemedico-infermieristica, il paziente ed i familiari, così da garantire anche una migliore e più consapevole partecipazione dei pazienti e dei loro familiari alle decisioni terapeutiche.
      3. L’attuazione dei princìpi della presente legge in conformità alle linee guida definite ai sensi dell’articolo 2 costituisce adempimento regionale ai fini dell’accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale a carico dello Stato.

Art.4

(Valutazione annuale dello stato di attuazione).

      1. Il Comitato paritetico permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 9 dell’intesa sottoscritta il 23 marzo 2005 tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 105 del 7 maggio 2005, valuta annualmente lo stato di attuazione della presente legge.
      2. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


E questo link il testo completo al testo della proposta di legge sulle terapie intensive aperte

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Umanizzazione

Umanizzazione della terapia intensiva in un ospedale inglese

L’infermiera italiana Valentina Mirto ci racconta la sua esperienza di umanizzazione e di lotta alla sindrome da post terapia intensiva

Qualche giorno fa, ricevo nel gruppo Facebook “storie di terapia intensiva”, un commento di una collega infermiera italiana (Valentina Mirto) che lavora nel Regno Unito e che racconta di come, da qualche mese, faccia parte di un team che si occupa della presa a carico di pazienti che sono passati in terapia intensiva e di umanizzazione della terapia intensiva. In particolare si occupa di persone a rischio di sviluppare una sindrome da post terapia intensiva.

Alla fine del suo commento scrive:

Mi piacerebbe un giorno poter tornare in Italia e portare quello che ho imparato qui in termini di riabilitazione psico-fisica e umanizzazione della terapia intensiva dopo la terapia intensiva…

Non potevo certo non chiederle un’intervista per capire cosa gli infermieri fanno nel Regno Unito che noi non facciamo e che a Valentina piacerebbe importare (o esportare, a seconda dei punti di vista).

Ciao Valentina, raccontami dove lavori e di cosa ti occupi

Sono senior staff nurse nella terapia intensiva del Royal Berkshire NHS Foundation Trust, e da qualche mese collaboro con il ”recovery after criticall illness team”:  un team che si occupa di persone in cui il ricovero in rianimazione ha causato una sindrome da post terapia intensiva (PICS). Il team è composto da due primari, tre infermiere (di cui una nurse consultant e due senior nurse), un fisioterapista.

Come avviene la presa a carico dei pazienti a rischio di sindrome da post terapia intensiva?

Il nostro team prende a carico i pazienti e le loro famiglie dal momento del ricovero in terapia intensiva fino a quando il paziente ne sente la necessità. L’umanizzazione della terapia intensiva avviene quindi sin da subito.

All’ingresso del paziente in reparto eseguiamo uno screening per capire qual è il rischio di sviluppare una sindrome da post terapia intensiva.

Nel momento in cui i pazienti vengono dimessi dalla terapia intensiva, viene redatta una lista in cui vengono inseriti tutti i pazienti che soddisfano i requisiti del servizio di riabilitazione. Questi vengono quindi seguiti in reparto sia da un fisioterapista che da una senior nurse, fino alla dimissione dall’ospedale.

Se i pazienti vengono dimessi presso centri terziari specialistici o centri di riabilitazione, il follow up prosegue telefonicamente con lo staff della struttura fino alla dimissione verso il luogo di residenza.

Quando i pazienti tornano alla propria abitazione, inviamo loro una lettera con un questionario (trauma screen questionare) per capire quanto la terapia intensiva abbia influito sulla loro qualità di vita e di quale tipo di supporto possano aver bisogno.

Quali sono i servizi che offrite?

I servizi principali che offriamo sono un servizio di follow up integrato che coinvolge in primis il nostro team e si espande ad altre specializzazioni a seconda della necessita’ del paziente ed i patient support groups.

Inoltre nel nostro reparto viene usato un “All about me file” (poster/file narrativo):  una cartellina  custodita nel file del paziente in cui i familiari scrivono informazioni sulla vita della persona ricoverata, i loro hobbies, le cose che li rendono felici e quelle che invece li fanno sentire demotivati.

Trovo questa cosa fenomenale perché permette di conoscere la persona dietro la malattia.

Molte volte, ad esempio, mi è capitato di seguire pazienti in stato di delirium o confusi e sapere cosa a loro piace e cosa li calma, può dare una grande aiuto e sostituisce perfino i medicinali usati per calmarli! Inoltre aiuta a creare una relazione terapeutica tra curante e paziente dove il paziente comincia a fidarsi della persona che se ne prende cura.

Come avviene il servizio di follow up?

Quando il paziente lascia la terapia intensiva e viene trasferito in reparto, vado a trovarli settimanalmente, organizzo incontri con le loro famiglie e mi è capitato spesso di ricevere telefonate dallo staff di reparto per chiedermi se avessi tempo per consulenze urgenti.

Dopo essermi presentata ed aver spiegato il ruolo che ricopro, in genere chiedo: ”Come stai?”. Spesso dopo questa semplice domanda si apre un mondo, dove esce tutta la fragilità della persona che diventa un fiume in piena.

 Chiedo poi cosa la persona ricorda del ricovero in terapia intensiva, se hanno incubi, flashback, pensieri intrusivi.

Quasi sempre vogliono sapere cosa sia accaduto in terapia intensiva durante il periodo in cui erano incoscienti. Lascio quindi loro una copia del loro ”discharge summary” : un documento che contiene tutti i passaggi del loro trattamento in terapia intensiva.

Spesso mi siedo accanto a loro e lo leggiamo assieme. Poi indago come il paziente vive da un punto di vista fisico: indago il lato nutrizionale, la fisioterapia, la terapia del dolore, controllo la ferita della cannula tracheostomica e le medicazioni di altri presidi (cateteri centrali, drenaggi, ecc.).

Mi “sposto” poi indagando il sociale: chiedo riguardo la famiglia e l’entourage.

Alle volte faccio cose che alle volte sembra esulino un po’ dal mio lavoro di infermiera di terapia intensiva.

Mi è capitato, ad esempio, di accompagnare un paziente a fare giardinaggio (abbiamo un piccolo garden terapy) o di accompagnarne altri a pranzo in un piccolo ristorantino interno, per dar loro modo di “prendere una boccata d’aria fresca” dopo mesi passati in ospedale o semplicemente per restituire un po’ di quel senso di umanita’ perduto durante il periodo di degenza.

Quando la persona viene dichiarata “medically fit for discharge” e torna al proprio domicilio, inviamo una lettera in cui lo invitiamo a partecipare al nostro servizio di supporto.

Al paziente vengono quindi offerti degli incontri dove, assieme al primario, ad una infermiera del team e ad un familiare, si discute di tutto ciò di cui il paziente vuole discutere: dai problemi psicologici ai problemi fisici.

Proponiamo incontri del genere una volta ogni due o tre mesi, ma diamo la possibilità alla persona in difficoltà di contattarci e di fissare incontri piu’ frequenti. Il nostro servizio ha “un’open door policy” e ci capita spesso che pazienti visti anni fa, chiamino per parlare o per consigliarsi. Non c’ è un tempo prestabilito per poter aderire al servizio.

…mi raccontavi che invitate il paziente a visitare nuovamente il reparto dove era ricoverato…

Se il paziente lo desidera e si sente pronto, lo riaccompagniamo a visitare la terapia intensiva ed il suo posto letto.

La persona può conoscere lo staff che si è preso cura di lui, rivedere il letto in cui era ricoverato, rivedere le macchine, il ventilatore, ascoltare i rumori e il suono degli allarmi che ha sentito mentre era sedato. Poi ci si siede insieme e gli si mostra tutti gli esami effettuati, gli aggiornamenti, le conversazioni con la famiglia ed i medicinali somministrati in modo tale da poter ricostruire quel percorso che nella loro memoria appare inizialmente come un buco nero fra i ricordi in quanto erano sedati.

Tante volte questo chiude un ciclo. Tutti i pazienti vogliono infatti sapere quello che accaduto durante il periodo in cui erano incoscienti e potrebbero aver bisogno di piu’ incontri se il loro status mentale non è pronto a sapere tutto in un solo incontro. Tanti pazienti piangono, altri restano senza parole, altri si meravigliano. Eppure un incontro del genere tende a risolvere tutti i loro problemi, o quasi.

Cosa sono e come si svolgono i patient support group?

I patient support groups sono degli incontri di dove i pazienti possono condividere le loro esperienze e non sentirsi soli nell’affrontare le problematiche del post terapia intensiva.

Vengono organizzati due o tre volte all’anno. Il tutto inizia con un caffè in compagnia tra ex pazienti che sono a buon punto nel loro percorso di guarigione ed il nostro team.

Il team illustra la PICS (sindrome da post terapia intensiva) ed i sintomi associati. I pazienti iniziano poi a parlare della loro esperienza, dei loro ricordi, dei loro progressi. È di fatto una chiacchierata conviviale e informale, che dà la possibilità a persone che hanno condiviso un percorso simile, di potersi confrontare ed anche consigliarsi.

È molto bello che le due “guide” siano due nostri ex pazienti che sono stati ricoverati nel nostro reparto circa undici anni fa e che hanno voluto fortemente questa attività.

Per molte persone che hanno vissuto la sindrome da post terapia intensiva, il potersi confrontare e parlare con altri che hanno vissuto un’esperienza simile, è di aiuto a sentirsi motivati, tranquillizzati e a progredire in un percorso di completa guarigione

Cosa ti dà questo lavoro così particolare da un punto di vista professionale e umano?

Il lavoro di umanizzazione della terapia intensiva non è un lavoro facile; entri nella vita delle persone e si creano relazioni che vanno al di la del lavoro e si protraggono nel tempo.

Diventi infatti il “collegamento” con uno dei periodi piu’ forti della vita di queste persone.

Tante persone si attaccano a te come se tu fossi l’unica persona che li conoscesse veramente perchè sanno che c’eri durante uno dei momenti peggiori della loro vita.

Bisogna però sempre ricordarsi di essere in una relazione di aiuto infermiere-paziente.

La gratificazione professionale e umana è altissima, tanto che vorrei aver iniziato tempo addietro.

Mi piacerebbe un giorno portare tutti questi insegnamenti nel nostro Paese, l’Italia, dove manca la cultura del post terapia intensiva e dove spesso l’umanizzazione della terapia intensiva non viene presa in considerazione.

Spesso la persona ammalata viene vista solo come malattia, e non sempre si ha la consapevolezza che dietro la malattia ci sia una persona e siamo noi infermieri a dover cambiare questo paradigma.


Per conoscere piu’ nel dettaglio la realtà in cui lavora Valentina Mirto quanto viene fatto nel Royal Berkshire NHS Foundation Trust è possibile visualizzare il sito www.readingicusupport.co.uk

Per ulteriori articoli sull’umanizzazione delle cure:

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Storie di terapia intensiva

“Dietro la maschera”: l’esperienza di un infermiere di terapia intensiva diventa romanzo

Il “racconto Covid” di Pasquale Dente, infermiere italiano in Inghilterra, diventa un romanzo

Conosco Pasquale Dente in un chat di infermieri e leggo che ha appena pubblicato un romanzo dal titolo “Dietro la maschera“, un romanzo reale che affonda le radici nella pratica clinica quotidiana della terapia intensiva Covid del John Radcliffe Hospital Oxford University.

Mi incuriosisco, faccio una veloce ricerca e contatto questo “infermiere-scrittore”. Voglio capire cosa questo infermiere ha da raccontare.

Pasquale è di Napoli e viene da Secondigliano: per molti solo un nome legato alla malavita.

Lui invece ha li’ le sue radici e nel breve colloquio virtuale in chat mi racconta quanto gli manca la propria terra e quanto vorrebbe tornarci.

Poi parliamo un pochino del suo libro e gli chiedo di scrivere un articolo per raccontare a postintensiva.it del suo progetto.

La condivisione delle esperienze non deve riguardare solo le persone ricoverate, ma anche noi infermieri. L’introspezione di un collega, anche attraverso un romanzo, puo’ aiutare ognuno di noi ad affrontare la propria quotidianità.

Al termine dell’articolo di Pasquale il link tramite cui acquistare il libro.


Chi sono

Mi chiamo Pasquale Dente, sono Napoletano ma lavoro da 5 anni presso la terapia intensiva cardiotoracica della Oxford University, che durante la pandemia, e anche tuttora lo è, è diventata terapia intensiva covid.

Mi piace molto leggere e mi diletto a scrivere, sono stato agonista e cintura nera secondo Dan di Judo, e anche se non pratico da anni, mi è rimasta l’indole di affrontare i problemi faccia a faccia, cercando di risolverli in maniera adeguata. 

Arriva il Covid

Quando sono entrato per la prima volta nel mio reparto, diventato Covid dopo qualche mio giorno di assenza, mi sono sentito in un mondo nuovo, del tutto diverso da quello super organizzato in maniera anche quasi maniacale in cui lavoro.

Ho subito pensato di scrivere quello che i miei occhi vedevano, solo in un secondo momento ho costruito una storia attorno a fatti realmente accaduti e fatti di cronaca, inventando personaggi che possono essere tranquillamente i nostri colleghi, amici o parenti.

Dietro la maschera

Il libro racconta la storia di Lucia, un’infermiera napoletana che lavora a Bergamo in un reparto di Terapia Intensiva.

La ragazza, giovane e bella si trova a combattere contro tutto in piena solitudine, lontano dai propri affetti, dagli amori e dalla famiglia.

Il romanzo è incentrato molto sulla figura della protagonista.

Da qui il titolo “Dietro la Maschera” . Cosa c’è dietro la maschera? Cosa si nasconde? Eroi? Paladini del bene? Oppure professionisti della salute che hanno studiato per fare ciò?

Persone con paure e delusioni, individui che hanno famiglie alle loro spalle che sono anche esse in ansia per tutto ciò.

La pagina Istragram @Dietrolamascheralibro

Prima della pubblicazione del libro stesso, ho aperto una pagina istagram @Dietrolamascheralibro su cui pubblico foto di colleghi con la maschera e senza, creando il contrasto tra quello che è il professionista, e quello che è la persona, aggiungendo anche una breve descrizione, sugli hobby e sulla famiglia, se sono mamme o papà, il tutto l’ho chiamato progetto “Dietro la maschera” .

Dove acquistare il libro

Il libro è acquistabile in versione cartacea, ebook ed è gratuito per i possessori si Kindle Unlimited.

Ecco il link di amazon per l’acquisto del libro e di istagram.https://www.amazon.it/Dietro-maschera-Pasquale-Dente/dp/B08PG65HMC/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=2HLOQM6OQLM6T&dchild=1&keywords=dietro+la+maschera&qid=1609204018&sprefix=dietr%2Caps%2C170&sr=8-1


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Il diario paziente

Il diario paziente in terapia intensiva e la relazione di cura

Il diario paziente: la relazione messa per iscritto

“Buon giorno sig. Giovanni, mi chiamo Sergio e sono l’infermiere che si occupa di lei questa mattina. Le scrivo questo diario perché le sue condizioni hanno spinto i medici a somministrare dei sedativi… in altre parole lei si trova in coma farmacologico e quando si sveglierà (speriamo fra pochi giorni) non avrà memoria di quanto le è accaduto e di come avrà vissuto queste giornate. Cosi’ ho deciso di scrivere questo diario in cui le racconto quanto accade….”

E’ con parole simili a queste che spesso si inizia una diario paziente nella nostra terapia intensiva.

L’inizio turno

L’infermiere inizia il turno di mattina, ancora assonnato “prende consegna” e si dirige verso questo signore sconosciuto, di cui ha poc’anzi ascoltato la storia clinica.

Lo guarda, lo osserva…. Quando osserviamo qualcuno per la prima volta proviamo delle sensazioni: ha un viso simpatico, è brutto, è bello… L’infermiere raccoglie quelle sensazioni… Quasi sempre ha un istinto di protezione; quasi paterno. Il paziente è gonfio, respira grazie a con un tubo in bocca che gli deforma l’espressione…sembra quasi che rida da un lato. L’uomo è collegato a vari macchinari, di cui l’infermiere ben conosce il funzionamento e le proprietà terapeutiche.

Iniziano le cure

Iniziano le cure del mattino…L’infermiere controlla tutto: imposta gli allarmi del monitoraggio, controlla i farmaci spinti da sofisticate pompe infusionali…Controlla le funzioni vitali, anche quelle piu’ basilari: gli atti respiratori, la frequenza del cuore, l’urina, la digestione…. Neanche di un neonato si contano gli atti respiratori!!! In terapia intensiva si’! L’uomo è talmente annichilito che gli serve un infermiere per contare e controllare gli atti respiratori.

Iniziano i lavori di routine… L’infermiere prende una bacinella o delle salviette umide e inizia a lavare lo sconosciuto… L’ha visto per la prima volta mezz’ora fa e ora lo lava. C’è qualcosa di evangelico in tutto questo? No, forse c’è solo qualcosa di umano. L’infermiere prende la mano dell’uomo e lava, poi le braccia, il torace, l’addome, gli arti inferiori….Addirittura le parti intime.

Il dialogo

L’uomo, anche se addormentato, risponde. Gli si alza un po’ la pressione, la frequenza cardiaca. Quando viene girato tossisce e smuove le secrezioni. L’infermiere introduce un sondino nel tubo che esce dalla bocca e aspira il catarro. E tutto questo porta a una reciproca conoscenza. L’infermiere impara che il “suo” paziente (e si’, perché poi il paziente diventa una proprietà) è “sensibile” agli spostamenti, che ha catarro e ha bisogno di essere aspirato.

Arriva poi il momento della visita medica. Il medico chiede all’infermiere come si è “comportato” il paziente. Come si puo’ comportare una persona in coma? In realtà il medico vuole sapere come sono stati i suoi parametri vitali, se i farmaci prescritti hanno avuto effetto, se la febbre sta passando. L’infermiere risponde a tutte le domande e torna dall’uomo. Mette in atto i cambiamenti decisi durante la visita.

La famiglia

“Sergio, c’è al telefono la moglie del sig. Giovanni che vuole avere informazioni”… All’università si parla di privacy, ti dicono di non dare notizie al telefono… Ma loro che ne sanno di Giovanni e di sua moglie? Poi allora, visto che gli infermieri sono “codardi”, passa la telefonata al medico. Perché per il medico la privacy non vale…Ma prima pero’ l’infermiere chiede alla moglie qualcosa dell’uomo…. “Che lavoro faceva prima della pensione? Cosa gli piace fare? Ascolta musica? Di che tipo?”…. e poi ancora… “Avete nipoti? Che età hanno?”…. E la signora moglie si lancia…. Una timida risposa diventa un fiume.

La relazione

L’infermiere torna da Giovanni, prende lo smartphone (non si potrebbe usare il telefono in ospedale), apre youtube e sceglie una canzone di Vasco. Appoggia il telefono sul cuscino cosi’ che Giovanni possa ascoltare.

“…sa, anche se ci conosciamo da poco, mi sembra di conoscerla da molto… So che faceva il meccanico d’auto e aveva una passione per le auto d’epoca. Mi hanno detto che è appassionato di montagna e che amava fare delle belle passeggiate. Sono qui assieme agli altri infermieri e ai dottori per fare in modo che possa tornare presto alle sue passeggiate…non scali l’Everest pero’!!!

Poco fa l’ho girata nel letto in direzione della finestra. Sembrava contento. Ha infatti un viso rilassato. Spero che gradisca la musica di Vasco…”


Postintensiva.it è un portale creato da infermieri che operano nelle terapie intensive. Si occupa di umanizzazione delle cure e, fra le altre cose, promuove l’utilizzo del diario paziente come pratica di nursing narrativo.

Per ulteriori approfondimenti sulla tematica del diario paziente in terapia intensiva vai alla sezione dedicata.

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Storie di terapia intensiva

Racconti di terapia intensiva: la storia di Sabina

Sabina ha subito un ricovero in terapia intensiva dopo essere stata operata alla testa. Questo è il suo racconto di terapia intensiva.

Sabina ha inviato il suo racconto ad una suo amica tramite un messaggio whatsup.

Abbiamo il suo permesso per pubblicare il racconto di terapia intensiva con la convinzione che la condivisione del suo vissuto possa aiutare altri che stanno vivendo la stessa esperienza.

Nel racconto di terapia intensiva di Sabina emerge il problema della mancanza di ricordi e dell’amnesia.

Gli infermieri e i curanti devono essere consapevoli degli effetti che la sedazione ha sul lungo termine. Ridurre al minimo la sedazione delle persone ricoverate in terapia intensiva è una priorità.


Le mie memorie di terapia intensiva

Quel brutto mal di testa

Ricordo di essermi recata in pronto soccorso dopo circa una settimana di insistente mal di testa che non passava con nulla. Mi sentivo un po’ in imbarazzo di recarmi in pronto soccorso per un cosa che consideravo banale, ma che poi mi sarebbe costata tre mesi di ricovero.

L’ultimo mio ricordo è che mi trovavo in sala d’attesa e sono stata chiamata per eseguire una tac.

Poi il vuoto assoluto!!!!

Terapia intensiva: l’assenza di ricordi

Mi hanno raccontato che avevo perso conoscenza, che avevo subito un intervento alla testa e che ero stata in coma per alcuni giorni (credo otto).

Non ricordo nulla, nemmeno di aver visto i miei cari al risveglio o di aver sentito le loro voci.

Dicono che durante lo stato di coma si percepisca qualcosa…Io pero’ non ricordo assolutemente nulla.

Ho un vago ricordo dei giorni a seguire…. Sicuramente ricordo di essere stata legata mani e piedi per impedirmi di staccare le flebo e credo di aver chiesto ripetutamente di essere slegata.

Ricordo il via vai frenetico degli infermieri, il monitor della terapia intensiva scambiato per un televisore e ricordo di aver dato a qualcuno un elenco di cose da comprare.

Ero convinta di trovarmi in Spagna e non in un letto di ospedale.

Promettevo regali a tutti gli infermieri perchè inconsciamente mi sembrava di avere un debito verso di loro.

Non ricordo di aver visto nessuno dei miei cari: nè i miei figli, nè mio marito e nemmeno i miei genitori nonostante venissero a trovarmi tutti i giorni.

La ripresa…

Il mio primo ricordo effettivo risale a circa quindici giorni dopo quando sono stata trasportata nel reparto di chirurgia in attesa di passare alla riabilitazione per recuperare tutte le funzioni motorie che non sapevo piu’ gestire.

Un percorso lungo e faticoso costellato da paure altalenanti del futuro anche piu’ prossimo fino a rafforzarmi giorno per giorno riprendendo contatti con la vita.

Ricordo quel periodo come un buco nero caratterizzato dalla continua sensazione di non essere padrona di me stessa, ma in balia di infermieri e personale ospedaliero che si prendeva cura di me per tutto.


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Storie di terapia intensiva

Storie di terapia intensiva: la storia di Shara (seconda parte)

Pubblichiamo la seconda parte racconto di terapia intensiva di Shara… Continuano le allucinazioni e il delirium, poi finalmente il ritorno a casa.

Shara, nel suo racconto di terapia intensiva, ci parla della sua PICS (Post Intensive Care Syndrome) e delle problematiche che ha dovuto affrontare: difficoltà cognitive, psicologiche e fisiche.

Per leggere anche la prima parte della storia di Shara clicca sul seguente link.


Il delirium

E’ giunto un fattorino che porta le pizze per il personale dell’ospedale. Il mio fidanzato e mia figlia andavano via dopo essermi venuti a trovare e mi sentivo come se dovessi andare con loro. Mi sono sentita cosi’ abbandonata.

Mi sono messa a piangere e mi lamentavo con l’infermiera dicendo che loro mi avevano abbandonato e che dovevo andare a prendere il treno per andare a casa.

L’ospedale si è trasformato in una zona di guerra. E’ stata una scena terrificante vedere l’intero ospedale entrare in una zona di guerra con barelle e personale in fuga dappertutto, sentire spari ed elicotteri. Una donna dire al suo bambino :”Quello è l’uomo che ha sparato a tuo padre”.

Ho chiesto all’infermiera di accendere la tv sul canale per vedere cosa succede al di fuori.

A chi importava tutto questo? Mi hanno lasciato in questo ambiente violento. La rabbia e la depressione persistevano dopo che l’apparato respiratorio era stato rimosso.

Quando ho iniziato a uscire da questi pensieri deliranti avevo una nuova infermiera che mi parlava con una voce calma, e benchè non potessi vederla, lei è stata l’ultima a cercare di convincermi dove realmente fossi.

La sfida continuava e per avere una prova le ho chiesto di verificare il nome del mio fidanzato e il numero di telefono e di telefonargli chiedendogli di venire. Lei è stata quella che si è guadagnata la mia fiducia ed ha contribuito a ridurre l’estrema ansia e io credo che fosse per il modo in cui mi parlava.

L’assenza di consapevolezza

Quando sono stata piu’ sveglia e mi è stato detto che ero li’ già da piu’ di due settimane, che ero stata intubata e che le cose si stavano risolvendo, sono diventata piu’ confusa e arrabbiata.

Ero davvero cosi’ grave? Avevo relmente bisogno di essere intubata? Ero certa di non aver bisogno di essere ospedalizzata! L’hanno fatto per il loro tornaconto e ho chiesto a tutti di lasciarmi da sola.  Questo è uno scherzo e sono tutti d’accordo. Le montagne russe dell’impotenza, della confusione, della paura si sono presto trasformate in rabbia e volevo solo morire. Ero cosi’ risentita che volevo che tutti se ne andassero e mi lasciassero morire.

Mia sorella è venuta a trovarmi e mia ha chiesto se volessi che lei restasse:

La malattia che mi aveva portato in terapia intensiva nel 2006 era piu’ grave di questa, ma questa volta è stato differente. Questa volta è stata molto dura. Le allucinazioni sono state terribili, uniche, molto reali e molto negative. Nel 2006 le allucinazioni erano state poche e io ne ricordo solo tre. 

Questa volta è stato cosi’ terribile a causa dei farmaci?

Emozioni…

Frustrazione, risentimento, rabbia e depressione sono state le mie prime emozioni quando la “nebbia” ha iniziato ad abbandonarmi.

Le mie corde vocali erano danneggiate. La mia voce non aveva forza, piuttosto un piccolo sibilo e non riuscivo a parlare con nessuno , specialmente tramite il pulsante di chiamata delle infermiere. Sono stata alimentata tramite sonda ed i miei muscoli si erano letteralmente sciolti nel letto. Non avevo nè voce, nè muscoli. Non sapevo in quale corpo fossi.

A parte il mio meraviglioso fidanzato, sono stata fortunata che mia figlia di ventun anni é venuta a casa. E’ rimasta alcune notti con me in ospedale, mi accarezzava il viso e mi sistemava in modo che non potessi danneggiare i vari tubi. Mi ha sostenuto e mi ha impedito di infrangere le regole (bere liquidi)!

Si lamentava anche dei normali problemi dei giovani-adulti.

Ero pronta per essere dimessa, a mio parere, e ho fatto di tutto per dimostrarlo. L’unica che non ha voluto firmare le dimissioni è stata la logopedista.

La dimissione dalla terapia intensiva

Si giustificava dicendo che la mia deglutizione non aveva ripreso adeguatamente per poter essere dimessa. Ero troppo debole e non avevo la voce per replicare. Le ho chiesto ripetutamente se avesse letto la mia documentazione riguardo i miei problemi di deglutizione preesistenti e che ho sempre disfagia. Continuava a dire che non l’aveva ancora fatto – cosi’ frustrante. 

Non era li’ forse per aiutarmi? Mi ha chiesto perchè me ne volessi andare e io le ho risposto che non miglioro in ospedale e che la mia depressione stava peggiorando.

Appena mi sono un po’ ripresa mentalmente ho pressato cosi’ tanto che alla fine ha firmato per la rimozione della sonda gastrica.

Finalmente a casa…la PICS (Post Intensive Care Syndrome)

Sono cosi’ contenta di essere a casa, lavarmi fuori dall’ospedale, stare nel mio letto con i miei gatti. Ma queste sono state piccole gratificazioni.

La depressione, il risentimento e la confusione continuavano. La mia voce non era ancora tornata e il fatto che riuscissi a malapena a sollevare un piatto contribuiva al mio risentimento.

Mi sono state prescritte fisioterapia e logopedia per le mie corde vocali. Sebbene fornissero una sorta di “socializzazione” , posso dire che la terapia fisica è stata la chiave. Mi ha costretto a lavorare con un’altra persona, ha dato fiducia in se stessa e mi ha permesso di realizzare (per almeno mezz’ora) che le cose potevano andare molto peggio 

Riprendevo forza, la fiducia in me stessa stava aumentando e le cose andavano nel verso giusto.

Il fisioterapista mi ha motivato per muovermi fisicamente in maniera responsabile. Ho iniziato col fare piccole cose come guidare fino al negozio di alimentari o in farmacia. La mia voce è lentamente ritornata permettendomi di tornare a frequentare la terapia cognitiva e psicoterapia.

Le allucinazioni avevano realmente affetto la mia psiche. Nessuno puo’ capire finchè non prova. Avevo annotato quante piu’ allucinazioni potessi ricordare e avevo scarabocchiato alcune immagini. Ho consegnato tutto al mio terapista per darle l’idea di quanto fossi “incasinata”. Lo scrivere tutto quello che ho potuto è stato un vantaggio importante perchè in questo modo assumevo io il controllo piuttosto del contrario.

Assenza di ricordi

Ho chiesto alla mia famiglia di vedere tutti messaggi che si sono scambiati. Ho chiesto cosa dicessi, cosa facessi. Qualunque cosa per colmare quel vuoto .

Dopo circa due mesi i miei capelli hanno iniziato a cadere come durante il trattamento per il cancro. Questo non è stato di aiuto alla mia autostima e depressione. Averi veramente apprezzato che qualcuno mi avesse avvisato che questa cosa potesse accadere.

Benchè la nebbia nel mio cervello fosse iniziata a scomparire la mia memoria a breve termine ne è rimasta affetta. Non riesco a ricordare il Natale (due settimane prima del ricovero in terapia intensiva) e anche la mia vacanza in Europa fatta poco prima.

Quindi non sono sicura di quando potro’ dire “sono guarita”. La mia depressione sta peggiorando e i miei muscoli, la memoria, le abilità cognitive non stanno migliorando molto velocemente (dopo sette settimane). Non riavro’ indietro queste cose.

Non ho idea di chi fossi prima della terapia intensiva tranne che avevo programmato di lavorare e nuotare ancora. Mi sento diversa e vulnerabile. Mi sento costantemente imbarazzata riguardo cosa potrei aver detto o fatto, non solo verso I miei familiari, ma anche verso I curanti.

Le allucinazioni mi stanno ancora consumando e nessuno comprende. Recentemente ho sperimentato dei flashback di cose di cui non ricordavo.

C’è moltissima pressione (probabilmente auto imposta) per dire “è bellissimo essere viva, sono cosi’ fortunata e cosi’ grata”, ma per qualche ragione , questa esperienza di terapia intensiva, mi ha buttata giu’ troppo per poterlo affermare in modo autentico, anche se molte persone stanno peggio di me.

Quando sono molto giu’ mi viene in mente l’idea malata di tornare indietro. Il posto da cui avevo il desiderio di scappare e voglio tornarci?

La mancanza di aiuto per vivere il post terapia intensiva

Quello che credo mi avrebbe aiutato molto, in aggiunta alla fisioterapia e alla psico terapia, sarebbe stato del counseling familiare. Conversazioni intense con la famiglia (spiegazioni, follow up con anche opuscoli) su come affrontare le ripercussioni della terapia intensiva come ad esempio le disfunzioni cognitive, le allucinazioni, la perdita dei capelli, I flashback, le discrepanze fra realtà e memoria.

Il diario di terapia intensiva

Sarebbe anche un ottimo modo per riprendersi la lettura dei diari che i familiari, gli infermieri, e , se possibile, i pazienti scrivono anche con scarabocchi e disegni.

Anche i medici devono parlare in modo gentile, solidale, positivo, premuroso e, se necessario, essere dei “buoni e cattivi poliziotti” allo stesso tempo.

Uno dolce e incoraggiante e l’altro che mette in atto le procedure necessarie. Ovviamente sarebbe necessario un modo meno barbaro di trattenere i pazienti quando necessario. Questo diminuirebbe di sicuro la quantità e l’intensità delle allucinazioni.

Ho messo assieme cosi’ tanti scritti tra membri della mia famiglia, salvato le mie comunicazioni scritte, cosi’ come il mio registro e i miei disegni.

Domani incontrero’ il mio pneumologo in terpia intensiva per aiutarmi col metabolizzare questa esperienza, mettendo assieme tutti i pezzi del puzzle.

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Umanizzazione

Umanizzazione delle cure in terapia intensiva: di cosa si tratta

Umanizzazione delle cure in terapia intensiva: cosi’ semplice da essere difficile

Nel gennaio 2019 compare sulla rivista “Critical Care” questo articolo sull’umanizzazione delle cure in terapia intensiva.

E’ un articolo breve e semplice che mette in guardia gli operatori sanitari medici e infermieri sul rischio della disumanizzazione delle cure in terapia intensiva.

Medici e infermieri, leggendo questo articolo, non possono esimersi da un “esame di coscienza” e chiedersi se le cure erogate sono umanizzate o disumanizzate.

Pubblico l’articolo tradotto. A questo link è possibile scaricare l’articolo originale.

Buona lettura!!!


Umanizzare la terapia intensiva

AUTORI:

Michael E Wilson 1 2 3, Sarah Beesley 4 5 6, Amanda Grow 7, Eileen Rubin 8, Ramona O Hopkins 4 5 9, Negin Hajizadeh 10, Samuel M Brown 11 12 13 14 15

Introduzione

Nel tentativo di correggere i danni d’organo, i curanti potrebbero trascurare di considerare quello che sta vivendo il paziente: il sentirsi ad un passo dalla morte, il non essere in grado di parlare, l’essere spogliato, l’avere estranei che entrano nella stanza e allo stesso tempo fanno “cose” al proprio corpo senza spiegazione, l’avere tubi inseriti , l’avere le braccia contenute, il sentire una cacofonia di allarmi disorientanti di cui non si comprende il significato, l’essere scossi e stimolati- tutto mentre la famiglia è assente. Mettendo assieme questi fattori, i pazienti spesso non hanno memoria o comprensione di come sono finiti in questa terrificante situazione. L’encefalopatia rende difficoltoso per i pazienti dare un senso alla miriade di stimoli dolorosi. Pazienti e famiglie devono cedere tutto il controllo.

In tutto questo caos percepito, alcuni pazienti che sperimentano patologie gravi, possono subire una perdita di umanizzazione. Questa perdita di umanizzazione puo’ esprimersi in varie forme, includendo la perdita della personale identità, del controllo, del rispetto, della privacy, dei sistemi di supporto ed è riferita come una disumanizzazione. La disumanizzazione consiste nel trattare qualcuno come un oggetto, piuttosto che come una persona ed è spesso associata al mancato rispetto della dignità.

Che aspetto ha la disumanizzazione della terapia intensiva?

I pazienti di terapia intensiva sperimentano una devastante perdita di personale identità. Al posto di essere identificati coi loro nomi, personalità, interessi, famiglia e cultura, i pazienti sono ridotti al loro numero di stanza, alla loro patologia, o al trattamento che ricevono – per esempio: “512 l’infezione in risoluzione”. Le identità personali sono anche perse dalla biancheria standardizzata dell’ospedale (l’”abito dell’ospedale”), dall’incapacità di comunicare, dal delirium, dall’igiene compromessa, dall’assenza di occhiali o ausili per sentire. I pazienti perdono anche la loro capacità di controllare l’ambiente,  di governare le loro stesse azioni, di difendere se stessi – spesso aggravato dalla perdita di coscienza. Quando si relazionano con un paziente incosciente o che non puo’ parlare, i medici potrebbero entrare nella stanza del paziente senza presentarsi, spostare o aprire il camice del paziente e toccarlo senza preavvisarlo, parlare con l’infermiere riguardo le condizioni cliniche e lasciare la stanza del paziente senza dire una singola parola al paziente. I pazienti con coscienza alterata spesso riportano ricordi traumatici della loro esperienza in terapia intensiva e si sentono come se i loro corpi non fossero persino piu’ i loro. Inoltre, i pazienti spesso perdono le loro famiglie visto che sono accompagnati nelle sale d’attesa. In sostanza, la restrizione delle visite rimuove sistematicamente dal letto del paziente gli “esperti mondiali” di quel particolare paziente, oltre ad allontanare il principale sistema di supporto della maggior parte dei pazienti- il tutto nel momento di maggiore vulnerabilità delle loro vite.

Umanizzazione e disumanizzazione delle cure in terapia intensiva
Fig.1 Disumanizzazione e umanizzazione delle cure in terapia intensiva

Perchè accade la disumanizzazione dei pazienti nelle terapie intensive?

L’alto carico di lavoro e il burn out possono portare i membri del team di cura a diventare desensibilizzati agli aspetti umani delle malattie gravi. I regolamenti e le culture di molte terapia intensive (come la restrizione delle visite) promuovono la disumanizzazione prendendo ulteriormente il controllo  dai pazienti e le loro famiglie. Anche i modelli frammentati di erogazione delle cure (lavoro su turni) possono impedire ai medici di terapia intensiva di riconoscere i pazienti come persone.

I medici potrebbero non rendersi conto che i pazienti che appaiono incoscienti possono sentire e ricordare quanto stanno vivendo. Mentre i medici di terapia intensiva possono essere esperti nella conoscenza delle patologie gravi acute, pochi hanno fatto l’esperienza di essere pazienti di terapia intensiva o pensano attentamente cosa possa essere questa esperienza. Per quei curanti che sono stati anche pazienti di terapia intensiva, l’esperienza ha insegnato loro l’importanza della presenza della famiglia al posto letto, del tocco fisico come lo stringere una mano, le parole calme di spiegazione, sicurezza e supporto.

Come possiamo considerare l’umanité della persona nel letto?

Molte considerazioni possono migliorare il trattamento dei pazienti nelle terapie intensive.

Primo, raccomandiamo visite familiari centrate sul paziente – l’unica restrizione di routine dovrebbe essere guidata dalla richiesta del paziente. L’apertura alle visite sono associate ad una diminuzione dell’ansia, della PTSD, dell’agitazione, una diminuita durata del ricovero in terapia intensiva, una piu’ alta soddisfazione del paziente/famiglia, e una migliore sicurezza del paziente.

Secondo, raccomandiamo di parlare ai pazienti di terapia intensiva, anche se deliranti, comatosi o incapaci di parlare. Entrando nella stanza del paziente i curanti dovrebbero presentarsi spiegando il loro ruolo e cosa sta per accadere. Ad esempio un medico puo’ stringere la mano di un paziente e dire :”Buon giorno sig. Giovanni, sono il dott. Stuart, il viceprimario del nostro team di terapia intensiva. Sono qui per controllare il suo cuore ed i suoi polmoni. Dovrei spostare la camicia dal torace e ascoltare il suo cuore col mio stetoscopio”.  Strategie per riorientare i pazienti e spiegare cosa succede è associato a minor delirium, minore durata della ventilazione meccanica e minor uso di sedazione.

Terzo, raccomandiamo di ridurre al minimo gli effetti della coscienza alterata e della ridotta mobilità, incluso sforzi individuali per ridurre al minimo la sedazione, ridurre il delirium e promuovere mobilizzazione precoce e fisioterapia.

Quarto, raccomandiamo di imparare qualcosa sul paziente come persona. Cose come “get to know me board” (conoscimi a bordo) o fotografie della vita del paziente prima del ricovero possono aiutare i clinici a capire meglio il paziente come persona. Alcuni di noi iniziano gli incontri con la famiglia chiedendo “ Mi racconti qualcosa di lui come persona. Quali sono i migliori racconti che possono aiutarci a capire il sig./sig.ra come persona?”.

Implicazioni della disumanizzazione

Gli aspetti chiave della malattia dei pazienti, cosi’ come i comportamenti/attitudini del team dei curantI, contribuiscono alla disumanizzazione dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Il non trattare i pazienti come esseri umani puo’ procurare serie conseguenze per il benessere fisico e mentale dei pazienti, sia durante la fase acuta della malattia che durante il loro recupero molto tempo dopo. Quando i curanti non riescono a considerare le identità personali dei loro pazienti, c’è il rischio di potenziali pregiudizi nel modo in cui i medici eseguono una prognosi e nelle decisioni che riguardano la sospensione del supporto vitale. Lo sforzo di umanizzare la terapia intensiva puo’ avere benefici nel rafforzare l’atteggiamento del paziente e l’impegno per raggiungere il proprio benessere. Comprendere e affrontare i fattori, a tutti i livelli, che contribuiscono alla disumanizzazione della terapia intensiva, rappresentano aree significative e necessarie per l’indagine e l’intervento nei nostri sforzi per promuovere cure di alta qualità.

affiliazioni

  • 1Division of Pulmonary and Critical Care Medicine, Mayo Clinic, Rochester, MN, USA.
  • 2Robert D. and Patricia E. Kern Center for the Science of Health Care Delivery, Mayo Clinic, Rochester, MN, USA.
  • 3Biomedical Ethics Program, Mayo Clinic, Rochester, MN, USA.
  • 4Center for Humanizing Critical Care at Intermountain Healthcare, Murray, UT, USA.
  • 5Pulmonary and Critical Care Medicine, Intermountain Medical Center, Murray, UT, USA.
  • 6Pulmonary and Critical Care Medicine, University of Utah School of Medicine, Salt Lake City, UT, USA.
  • 7ICU Patient and Family Advisory Council, Intermountain Medical Center, Salt Lake City, USA.
  • 8ARDS Foundation, Northbrook, IL, USA.
  • 9Department of Psychology and Neuroscience, Brigham Young University, Provo, UT, USA.
  • 10Division of Pulmonary Critical Care Medicine, Zucker School of Medicine at Hofstra/Northwell, Manhasset, NY, USA.
  • 11Center for Humanizing Critical Care at Intermountain Healthcare, Murray, UT, USA. Samuel.brown@imail.org.
  • 12Pulmonary and Critical Care Medicine, Intermountain Medical Center, Murray, UT, USA. Samuel.brown@imail.org.
  • 13Pulmonary and Critical Care Medicine, University of Utah School of Medicine, Salt Lake City, UT, USA. Samuel.brown@imail.org.
  • 14Division of Medical Ethics and Humanities, University of Utah School of Medicine, Salt Lake City, UT, USA. Samuel.brown@imail.org.
  • 15Shock Trauma ICU, Intermountain Medical Center, Murray, UT, USA. Samuel.brown@imail.org.

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