Fra i vari racconti di terapia intensiva c’è quello di Rebecca Abel. Rebecca è program manager al “Vanderbilt University Medical Center” di Nashville (Tennessee, USA) e si occupa principalmente del delirium in terapia intensiva.
Rebecca è stata anche paziente in un reparto di rianimazione. Ha portato la sua testimonianza di paziente al congresso dell’ “American Thoracic Society” nel 2019 a Dallas.
Ha accettato di condividere la sua storia su postintensiva.it che è stata tradotta fedelmente e che di seguito riportiamo…
Come tutto è iniziato in terapia intensiva
Quando ero incinta di 24 settimane, la mia ostetrica ha rilevato un aumento della pressione arteriosa e, alla ventisettesima settimana, avevo difficoltà a respirare. Dopo due notti in bianco in cui stavo molto male mi sono recata in una clinica.
L’infermiera ha immediatamente chiamato la mia ostetrica che mi ha inviato in ospedale per una pre eclampsia. Mi è stato somministrato del magnesio solfato per prevenire convulsioni o stroke. Le mie memorie non sono annebbiate, ma ricordo distintamente la mia ostetrica dirmi che il bambino avrebbe dovuto nascere quel fine settimana.
Mia figlia è nata tramite parto cesareo alla ventottesima settimana di gestazione e, con nostra gioia, ha pianto come un gattino quando l’hanno tirata fuori dalla mia pancia.
E’ stata quindi portata in terapia intensiva neonatale per essere stabilizzata. Tutto sembrava andare bene fino a quando ho creduto di vedere degli insetti camminare sul soffitto.
Ho iniziato ad avere panico e ho avuto difficoltà a respirare. I miei livelli di saturazione si abbassarono cosi’ tanto da richiedere il mio trasferimeno in terapia intensiva e mi è stata messa una Bi-Pap. Ho iniziato a tossire una schiuma rosata. Gli infermieri non facevano in tempo a mettermi una maschera pulita che io non l’avessi già riempita. Attorno a mezzanotte fui intubata. L’ultima cosa che ricordo fu che guardai mio marito piena di paura.
I ricordi e il dopo
Il successivo ricordo che ho è di una settimana piu’ tardi. Mentre ero intubata, il mio cervello aveva inventato la storia che avevo partorito, il mio bambino era stato dato in adozione ed io ero sedata e tenuta prigioniera. Avevo bisogno di chiamare mio marito.
Non appena l’infermiera arrivo, mi diede il telefono, e le mie paure svanirono.
Non so come spiegare come ci si sente ad aver perso tempo che è costellato di frammenti di realtà.
Ricordo il mio seno colmo di latte e mettere la mano di mia madre sul mio petto per ricordare a tutti che avevo appena partorito. Per l’allattamento mi portarono un tiralatte e mio marito e le infermiere mi tiravano il latte sette volte al giorno.
I miei familiari mi aiutarono a riempire il vuoto di quanto mi era accaduto, e di come cercassi di comunicare tramite linguaggio dei segni con mio marito per dirgli che lo amavo. Ad un certo punto iniziai a scarabocchiare messaggi illeggibili chiedendo se sarei sopravvissuta e come stava mia figlia.
Dopo essere stata dimessa mi è stata diagnosticata una cardiomiopatia ed edema polmonare periparto. Ho avuto molto poco tempo per mettere a fuoco le emozioni e quanto mi è accaduto. Ho iniziato a vivere la maternità con dodici settimane di anticipo, ed il mio mondo è stato un mulinello di visite in terapia intensiva neonatale, tirare il latte e lavorare mentre anche mi occupavo dei miei stessi bisogni. Guardando indietro, non so come ho fatto tutto, ma sono grata che dieci anni dopo posso condividere la mia storia per aiutare altri.